Rubrica a cura del dottor Claudio Rao
Pedagogia dell‘ascolto¹. Istruzioni per l‘uso.
La scorsa settimana abbiamo parlato di exotopìa e dell’arte di ascoltare. Questo lunedì riflettiamo sul valore dell’ascolto dei nostri bambini e ragazzi.
Noi adulti abbiamo una corteccia prefrontale matura e operativa rispetto ai più giovani. Essa è il centro informatico e di controllo del cervello emozionale. Nei bambini invece, questa parte dell’organismo è ancora in formazione, mentre il loro cervello emozionale è già operativo!
Questo significa che quando i più giovani tra noi sono preda di una forte emozione, non avendo la corteccia prefrontale ancora attiva sarà compito di genitori ed insegnanti dovervi sopperire! In una sorta di scuola guida finché il pilota automatico non sia definitivamente installato a bordo.
Il bambino, se lasciato solo, rischia di essere preda di queste forti emozioni essendo impedito ad ascoltare, ragionare e perfino a prendere un minimo di distanza rispetto al flusso emotivo. Così rischia di assumere dei comportamenti dettati dalla piena emotiva a cui è soggetto.
Risulta dunque indispensabile che le figure adulte di riferimento si facciano carico di… ascoltarlo!
Per ascoltare un bambino, fronte alle sue crisi emotive o i suoi mutismi elettivi, é sufficiente chiedersi: « Di che cosa ha bisogno e come posso aiutarlo a ottenerlo? ».
In un primo momento possiamo limitarci ad ascoltarlo per davvero (tacitando le nostre ansie, il nostro senso d’impotenza, le nostre interpretazioni adulte preconfezionate). Questo favorirà il ritrovo della calma e lo farà sentire interiormente più sereno, più sicuro.
Poi ci sforzeremo di capire, anche intuendo e indovinando, ciò che può provare e a descriverlo a parole.
Il linguaggio, l’espressione dei nostri vissuti, è eminentemente terapeutico!
Per impratichirci un po’ proviamoci con carta e penna. Chiediamo al nostro giovane soggetto di esprimere ciò che prova e sintetizziamo il suo problema. Se si blocca, guidiamolo con domande del tipo « In che momento, in che posto è successo? Come ti sei sentito? E lui, cosa ha provato secondo te? ».
Possiamo anche solo limitarci a schematizzare. Poi proviamo a verificare la nostra comprensione dei fatti, spiegandogli cosa abbiamo capito riprendendo il più possibile le sue parole ed espressioni.
Infine, senza esprimere giudizî morali, potremo chiedergli che cosa ne pensa, cosa pensa di fare e… cosa ha imparato da questa esperienza. Precisiamogli sempre che non è solo, che noi siamo lì con lui (o lei). E che se vuole può acquisire il nostro punto di vista adulto.
Fronte a questo percorso, liberatosi dalla tempesta emozionale, gli sarà più facile esplorare altre prospettive e punti di vista per cercare delle soluzioni. Una variante sul tema, più adeguata ai bambini più piccoli, è quella di chiedere loro di illustrare con un disegno quello che è loro capitato. Per capire, prima di partire insieme all’esplorazione dei vissuti e delle possibili soluzioni.
Il vantaggio di queste tecniche è duplice: da un lato insegna a noi adulti a metterci davvero all’ascolto dell’altro, mostrandogli una presenza empatica e non giudicante, dall’altro avvia i più giovani a non essere facile preda delle proprie emozioni, a riflettere in termini di soluzioni e non di colpevolezza (propria o altrui). A distinguere tra fatti ed interpretazioni, insomma a maturare una dimensione adulta della vita.
¹ « Ciò che altri considerano ascolto per il Pedagogista Clinico orientato dalla disciplina del Reflecting® è un esserci, un essere-con la persona in modo polidinamico, polisinergico; uno stare in relazione sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione ». G. Pesci, M. Mani, Dizionario di Pedagogia Clinica, Armando Editore, Roma, 2022, pagg. 45, 46.
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