Prontuario della Distensione – Come staccare la spina? 5 consigli utili

Prontuario della Distensione – Come staccare la spina? 5 consigli utili

Rubrica a cura del dottor Claudio Rao

Fondamentalmente siamo tutti “persone perbene” che cercano di fare del proprio meglio. A volte, tuttavia, siamo sottoposti a situazioni difficili, emotivamente forti: un rimprovero, una critica, un’aggressione… Così finiamo per perdere la calma e l’occasione di tirarcene fuori con una battuta o una risposta diplomatica. Ci innervosiamo, ci ripieghiamo su noi stessi, ci giustifichiamo e magari cediamo al gioco dello scaricabarile attribuendo ad altri la responsabilità delle cose. Questo perché prendiamo troppo al primo grado le affermazioni rivolteci.

Allora, come fare a lasciar scivolare le critiche su di noi senza alterarci, evitando di metterci in situazioni tutto sommato sgradevoli e, in fin dei conti, imbarazzanti?

  • Non dare all’altro il potere di farmi arrabbiare.

Tendenzialmente, quando non sopportiamo qualcuno, tendiamo a considerarlo responsabile della situazione (“è colpa sua se…”). Così facendo però, noi usciamo per così dire di scena (ci deresponsabilizziamo) e conferiamo all’altro i pieni poteri. Poteri che non dovrebbe avere e che in realtà non ha! Difficilmente infatti ciò che ci mette a disagio sono le situazioni oggettive quanto in realtà il nostro vissuto, la nostra visione della cosa. Due persone che vivono la medesima situazione, infatti, la percepiranno e reagiranno in maniera del tutto diversa!

Scegliere una comunicazione non-violenta¹ ci consente di mostrare al nostro interlocutore che assumiamo le nostre responsabilità. Così trasformeremo per esempio la frase “Il tuo disordine mi dà sui nervi” (che scarica l’intera responsabilità sull’altro) in “Questo disordine mi innervosisce perché ho bisogno di vedere la casa sistemata per sentirmi a mio agio” (in cui assumiamo la responsabilità dei nostri stati d’animo).

  • Non sono io il problema!

Il nostro capo ci rimprovera? Un cliente ci aggredisce verbalmente? La macchina dietro di noi suona il clacson perché non ci sbrighiamo? Se ci arrabbiamo è perché pensiamo di far parte del problema o magari di essere addirittura noi il problema! In realtà in questo genere di situazioni il problema è… l’altro!

Se il cliente ce l’ha con noi è perché non è soddisfatto. Tuttavia il più delle volte non è colpa nostra. Magari è la prima volta che lo vediamo. Idem per il superiore gerarchico: è possibile che sia su di giri per altre cose che non hanno funzionato come si aspettava (magari anche problemi personali!). Colui che suona nervosamente il clacson, infine, potrebbe andare di fretta per urgenze familiari o essere reduce da una giornata-no!

Il problema dunque è da far risalire al modo dell’altro di manifestare il proprio stato emotivo del momento. Ergo, non siamo noi il problema; invece potremmo (chissà?) essere un elemento utile alla sua soluzione!

  • Quale ruolo intendo ricoprire?

Immaginiamoci una scena. Un cliente ci aggredisce verbalmente perché non lo abbiamo servito come voleva. Alza i toni, ci dà dell’incompetente, ci insulta dicendo che non mancherà di farci cattiva pubblicità. Le sue urla attirano l’attenzione dei nostri colleghi che, molto verosimilmente, non interverranno ed altri clienti curiosi di scoprire gli sviluppi dell’alterco.

Chiediamoci “Fronte a questo individuo, evidentemente un po’ fuori di sé, quale ruolo intendo ricoprire? Quello dell’impiegato indifferente che assiste allo sfogo proferendo qualche frase di circostanza? Quello dell’impiegato ferito o offeso che risponde a tono in un crescendo piuttosto patetico? O quello dell’impiegato che accoglie lo sfogo di un cliente insoddisfatto con professionalità e nel rispetto del ruolo che gli conferisce il suo incarico?” È quest’ultimo il ruolo che ci permetterà di acquisire la stima dei colleghi e conservare un certo orgoglio di noi stessi. Consentendoci, e non è poco, di vivere meglio la spiacevole situazione che ci è offerta. Di agire, non di subìre. 

  • È la sua opinione, nulla le vieta di pensarlo!

Ognuno di noi è libero di pensare ciò che crede, di avere una sua propria opinione su tutto. Questo però non fa di noi i detentori della verità né delle nostre idee l’unica chiave di lettura della realtà!

Dunque, se anche il nostro interlocutore ci dà dell’idiota (ammesso e non concesso che rispecchi ciò che pensa e non sia una mera provocazione), questo non significherà affatto che lo siamo! Allora, perché scomporci? Possiamo a nostra vòlta non essere d’accordo e significarglielo civilmente ribattendo: “É la sua opinione ed è suo diritto pensarlo”. Senza opporci in uno sterile e dannoso braccio di ferro né giustificarci in alcun modo, rinvieremo così al mittente la sua asserzione. Evitando ad entrambi una discussione ben poco costruttiva.

  • Mi  arrabbio perché è il mio tallone d’Achille.

Alle vòlte la risposta dell’altro ci è particolarmente sgradita perché – consapevolmente o meno – stigmatizza una nostra debolezza, punta il dito su una fragilità, scatenando una nostra reazione oggettivamente sproporzionata.

Il fatto di acquisirne la consapevolezza è un eccellente punto di partenza. Magari non necessariamente per conservare sempre la calma, ma sicuramente – a posteriori – per ritrovarla e “staccare più facilmente la spina”. Il primo passo per un attento lavoro su noi stessi e la nostra evoluzione personale. 

¹ La comunicazione nonviolenta (CNV), chiamata anche comunicazione empatica, comunicazione collaborativa o linguaggio giraffa, è un modello comunicativo basato sull’empatia. È stata ideata nel 1960 dallo psicologo statunitense Marshall Rosenberg, secondo il quale essa permette di evitare le frequenti incomprensioni che derivano da un comunicare approssimativo e di riuscire a creare contesti comunicativi win-win. (Fonte: Wikipedia)

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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