La Trinità: uno diventa tre. E’ davvero così “misterioso”?

La Trinità: uno diventa tre. E’ davvero così “misterioso”?

Di Sergio Ragaini

La Trinità: uno dei Dogmi del Cristianesimo. Qualcosa, quindi, che viene dato per scontato, senza ulteriori indagini.

Tuttavia, questo elemento è presente anche in diverse altre Culture Spirituali, e non ha in sé nulla di così “eclatante” o particolare.

In questo articolo si cercherà di andare a fondo, almeno un po’, di questo elemento trinitario. Dopo avere mostrato che non vi è nulla di strano, partendo anche dagli elementi matematici, in un qualcosa che si divide in tante parti, che mantengono però l’essenza originale del tutto, si passerà ad esaminare altre “Trinità” nel Mondo Spirituale, mostrandole assolutamente analoghe a quella Cristiana. Per poi, infine, mostrare come il numero Tre sia un numero presente non solo a livello spirituale, e da questo la Trinità può attingere il suo significato.

Chi ha frequentato il Mondo Cristiano, si è trovato sicuramente davanti uno dei principali “Dogmi” di quel Mondo: quello Trinitario. Non sto, qui, a parlarne più di tanto, in quanto si tratta di qualcosa di piuttosto noto. In sostanza, si tratta dell’equivalenza totale tra le figure di Padre, Figlio e Spirito Santo. Che divengono una cosa sola. Lo stesso Cristo sottolinea: “Io e il padre siamo una cosa sola” (Giovanni, 10, 30).

Questo, da parte del Mondo Cristiano, in particolare Cattolico, viene posto come dogma, quindi come qualcosa sul quale è assolutamente “vietato” indagare. Ricordo un amico, decisamente Cattolico fervente, quando anni fa mi diceva, a proposito della Trinità: “Quello è un Dogma, quindi non si discute”. Ed era una persona di grande valore intellettivo!

In effetti, chi frequenta la Chiesa Cattolica, o chi l’ha, anche per breve tempo, frequentata, ha percepito il massiccio uso della parola “Mistero”. Questa parola si trova ovunque. Si ritrova anche nella celebrazione del Rosario, dove esistono tre categorie di “Misteri”: quelli Gaudiosi, quelli Dolorosi e quelli Gloriosi.

I Misteri, nel Mondo Cristiano, sono qualcosa su cui non si indaga: sono, facendo un parallelo con la Matematica, degli “assiomi” che vengono posti, e che devono essere presi per buoni, senza nessuna ulteriore indagine.

Ne deriva, di conseguenza, un Sistema piuttosto rigido, dove è assolutamente “vietata” ogni indagine. Qualcosa, insomma, che deve essere presa per buona. Non a caso, quando ero adolescente, e parlavamo di problematiche legate al Mondo Cristiano, mi sono sentito rispondere: “O ci credi, o non ci credi”.

Chi, nei secoli passati, ha, in qualche maniera, messo in discussione questi Dogmi, spesso ha subito l’ira della Chiesa Cattolica., e non solo Cattolica. Il caso di Giordano Bruno, ad esempio, è credo piuttosto palese.

Così come lo è quello di Galileo, che il  22 giungo 1633 è stato costretto ad abiurare alle sue Teorie Eliocentriche, in quanto il fatto che la Terra fosse al Centro dell’Universo era posto come “dogma” dal quale non si poteva in alcun modo uscire. Ciò che ha generato questo Dogma è stata, soprattutto, la frase di Giosuè, pronunciata in Giosuè, 10, 12: “Sole, fermati su Gabaon! E tu, luna, sulla Valle di Aialon!”.

Secondo la logica della Conoscenza, invece, la parola “Mistero” ha un’accezione differente, e indica qualcosa che, al momento, non si conosce. Tuttavia, la cosa bella è poter lavorare per “svelare” questi Misteri, rendendoli chiari ed espliciti. Mistero, quindi, non è qualcosa di dogmatico, ma qualcosa che si può svelare, indagare.

Se, infatti, si è coscienti che, in una Teoria, gli assiomi sono necessari, e ne parlavo anche in questo articolo, si è altresì coscienti che questi sono “convenzioni”, che possono essere modificate e cambiate, qualora si desiderasse farlo.

Con questo Spirito avevo scritto, circa tre anni fa, il libro “Il Cristianesimo alla luce del Buddhismo e delle Filosofie Orientali”. Nel libro non tentavo un “sincretismo” tra le due Tradizioni Spirituali: piuttosto, cercavo di “illuminare” una Filosofia Dogmatica come quella Cristiana (Cattolica ma non solo) con una non dogmatica, come quella Buddhista. Cercando di osservare quello che ne derivava. Il risultato, sicuramente, è stato un Cristianesimo dove molti misteri sono caduti, e sono apparsi chiari.

La cosa che mi ha sempre colpito in positivo della Filosofia Buddhista è il suo approccio non “dogmatico”. Lì, nulla è dato come Dogma, e tutto viene accuratamente spiegato.

Ricordo ancora le lezioni, ormai di anni e anni fa, dell’esperto di Buddhismo Tibetano Aldo Franzoni (la sua notevole opera: “Il Dharma del Tibet” si può trovare a questo indirizzo oppure a questo indirizzo): si andava avanti molto tempo ad analizzare simboli e significati, dove nulla veniva dato per scontato e acquisito. Una logica analitica e di introspezione perfetta per un Matematico come me, che come tale difficilmente potrebbe accettare un impianto dogmatico come quello Cattolico.

Alla luce di questa Filosofia è stato bello, come ho detto altre volte, recuperare anche il Cristianesimo: naturalmente sotto un’ottica e una luce completamente nuova e più allargata.

Tra gli elementi che maggiormente si possono prendere in considerazione, vi è proprio quello della Trinità, uno dei principali Dogmi del Cristianesimo, enunciato nel “Simbolo Niceno Costantinopolitano”, in latino “Symbolum Nicenum Costantinopolitanum”, quello che noi chiamiamo comunemente “Credo”: questa preghiera è nata nel Primo Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. E, come è da qualcuno risaputo, i Concili avevano anche lo scopo di promulgare Dogmi. Questo fino al 18 luglio 1870, quando il Concilio Vaticano Primo, con il Documento Dogmatico “Pastor Aeternus”, aveva promulgato il “Dogma dell’Infallibilità Papale”. A questo indirizzo potrete trovare i documenti prodotti da quel Concilio. Da quel momento, i Dogmi potevano essere pronunciati anche dai Papi. Tuttavia, già l’8 dicembre 1854 Papa Pio IX aveva pronunciato il Dogma dell’Immacolata Concezione di Maria.

Tuttavia, se non si considera più questo come un “assioma indiscutibile”, e si cerca di andare oltre, si può scoprire come il fatto di un’essenza che triplica non sia qualcosa di così assurdo è impossibile da pensarsi, e che, anzi, tutto questo possa apparire molto meno oscuro di quanto si possa pensare.

Una delle prime cose che mi viene in mente, in questo momento, è il film: “Piccolo Buddha” di Bernardo Bertolucci. Qui si parla della persona di Lama Norbu, e si cerca in chi si è reincarnato. La sorpresa che può apparire è che Lama Norbu si è simultaneamente incarnato in tre fanciulli, nelle sue componenti di Corpo, Parola e Mente.

Questa è già una triplicazione: una sola persona è diventata tre. Corpo, Parola e Mente, nella Filosofia Buddhista, sono tra le principali prerogative. Anche nella Tradizione di Thich Nhat Hanh, Maestro Zen Vietnamita al quale avevo anche dedicato un articolo su questo giornale, prima di iniziare gli incontri si canta: “Corpo, Parola e Mente in unità”. Ecco: nel caso di Lama Norbu, queste tre componenti sono diventate tre persone differenti. Quindi, una sola persona si è incarnata in tre distinte persone.

Questo fa già riflettere sull’argomento: e fa capire molte cose. Tra le quali il fatto che una “triplicazione”, quindi un’essenza che diviene tre, non è nulla di così impensabile: infatti, nel film accade.

Tuttavia, credo che la cosa sia ancora più evidente dalla Fisica: la luce che noi percepiamo normalmente è luce bianca. Questa, se fatta passare attraverso un prisma, si scinde nelle sue componenti basilari, che però, assieme, ridanno la luce bianca. Ognuna di queste componenti “crea2, in un certo senso, la luce bianca.

Quindi, una cosa può essere composta da diverse parti, e tutte quelle parti generano l’unità.

Nella Meccanica Quantistica, ogni parte non è solo parte del tutto, ma è simultaneamente “Il tutto”, come anche il Fisico Vittorio Marchi ricordava, e del quale parlava il bellissimo film “Un altro Mondo” di Thomas Torelli.

Quindi, possiamo vedere che ogni parte “contiene” in sé l’essenza del tutto. Arriviamo, allora, a dedurre che il fatto che il tutto si divida in parti, che ne contengono in sé l’essenza, non è così strano. Secondo questa interpretazione, ad esempio, il fatto che Lama Norbu si sia “scisso” in tre componenti diverse non deve apparire nulla di così impensabile: ognuna di queste componenti conteneva, in sé, l’essenza del Lama stesso.

Possiamo quindi vedere, come già dicevo,  che una parte può contenere il tutto. In fondo, quando si dice che noi siamo “scintille divine” affermiamo che siamo parte del Divino, e che quindi la nostra matrice è Divina. Anche se, qui, la Bhagavad Gita afferma: “Tutto questo universo visibile proviene dal mio Essere Invisibile. Tutti gli esseri hanno dimora in Me, ma Io non ho dimora in loro”. Nella Traduzione di Swami Prahbupada, in uso dagli Hare Krishna, il verso risulta invece:

 “Da me, nella mia forma non manifesta, tutto questo Universo emana. Tutti gli Esseri sono in me, ma io non sono contenuto in loro” (Bhagavad Gita, 9, 4).

Qui si afferma, quindi, che mentre tutto è emanato dall’essenza suprema, questa è esterna alle cose. Come in effetti, è un punto all’infinito, che può essere anche il Punto di Fuga della Prospettiva: tutto emana da lì, ma quel punto “non può”, di fatto, appartenere al quadro (anche se, di fatto, viene visto come appartenente). Se appartenesse al quadro, infatti, non sarebbe più un punto all’infinito, ma sarebbe finito. Esattamente come un “punto all’infinito” è emanatore della Realtà, ma ne è necessariamente al di fuori, perché altrimenti sono sarebbe un punto all’infinito.

Torniamo comunque al tema principale di cui stavamo parlando: quello trinitario. Abbiamo visto, in questo momento, che il fatto che una cosa prenda varie forme, ciascuna delle quali contiene in sé l’essenza del tutto, non ha nulla di misterioso, e, anzi, si può facilmente ritrovare.

Anche lo stesso Pirandello parlava di “Uno, Nessuno, Centomila”, proprio per dire che la persona può essere tante cose, ma è sempre la stessa.

Alla luce di quanto appena detto, la Trinità appare semplicemente una “triplicazione” di qualcosa, che però, in ogni sua parte, mantiene l’identificazione con il tutto.

Da una parte appare la stranezza dell’identificazione: “1=3”. E anche quella per cui una struttura di qualsiasi tipo, moltiplicata per tre, ridà ancora quello che era in partenza.

Questo però non deve stupirci: nel caso dell’infinito, si ottengono dei possibili “paradossi”, però del tutto logici. Uno di questo, che risulta da un semplice calcolo matematico, è che i pari e i dispari sono tanti quanti gli interi, e, nello stesso tempo, gli interi sono dati dall’unione dei pari e dei dispari (si può trovare una semplice dimostrazione qui). Tutto sommato, questo esempio non è così diverso da quello della Trinità, quindi dove 1×3=1. Se quell’1 è infinito, moltiplicandolo per 3 si ottiene ancora un infinito. Quindi, la cosa appare del tutto ovvia.

In pratica, ci si sta spostando tra infiniti, e quindi, quello che ne risulta, è ancora un infinito.

Per usare parole più “evangeliche”, Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre infiniti, fatti allo stesso modo. Combinandoli, si ottiene un ulteriore infinito, che ha la stessa forma degli altri, così come i Pari e i Dispari sono “fatti” come l’insieme degli interi, e tuttavia, unendoli si ottengono gli interi.

Come avete visto, nulla di tutto quanto visto sinora è nulla di più di quanto può apparire da una semplice riflessione logica. Basta farla con i parametri giusti. E considerare il tutto nell’ottica dell’infinito.

Nel caso della Trinità, tuttavia, abbiamo altri elementi che concomitano. Non si ha, quindi, una semplice divisione in elementi che contengono in sé il tutto, in questo caso Padre, Figlio e Spirito Santo che concomitano a formare una nuova essenza, di cui loro stessi sono però parte, ma abbiamo qualcosa che è sempre perfettamente “identificato”. Sarebbe come dire, tornando all’esempio di “Piccolo Buddha”, che Corpo, Parola e Mente sono una cosa sola.

Questo, sotto alcuni aspetti, è anche vero: o, almeno, è l’obiettivo da raggiungere nel Cammino Spirituale. È, in sostanza, il punto d’arrivo. In questo caso, le tre componenti Corpo, Parola e Mente contengono in sé l’essenza del tutto, e nello stesso tempo sono una parte del tutto.

Nel caso della Trinità Cristiana, abbiamo una triplicità, che nello stesso tempo è identificazione.

Va quindi cercato se, qui, esista un’essenza comune di cui queste tre componenti sono parte.

Forse, qui, questa essenza non esiste. Oppure l’essenza è il Padre. Da lì nasce tutto.

Cosa sia questo “Padre”, in effetti non è così chiaro: forse è il “Verbo” (citando anche l’inizio del Vangelo di Giovanni, “In principio era il Verbo”), il suono primordiale, l’Om, l’onnipervadente, il punto da cui tutto emana di cui parla anche la Bhagavad Gita.

Quel punto, però, non è contenuto in tutte le cose, perché è, appunto, all’”infinito”.

Proprio per questo, è necessario l’avvento del Figlio, l’infinito che diviene finito. Anche nel “discutibile” (almeno secondo me) Credo di Nicea, di cui parlavo in precedenza a proposito del “Symbolum Nicenum Costantinopolitanum”, si parla di “figlio” (secondo me non “unico”, ma semplicemente “figlio”) “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Questo vuol dire che il Figlio è “fatto come” il Padre. In qualche modo, è nella stessa relazione con il Padre di quella che sussiste tra gli interi e i pari: sono due insiemi, che in termini matematici si potrebbero definire “isomorfi”. Quindi, in termini matematici, Cristo è “isomorfo” al Padre. E, nello stesso tempo, permette di supplire a quello che la Bhagavad Gita pone come problema di Dio: tutto è in lui, ma lui non è contenuto nelle cose. Con l’arrivo del Figlio si ha l’analogia. Quindi, il Figlio è l’Infinito che diventa finito. Come avevo anni fa detto durante una mia Conferenza sull’Infinito.

Secondo la Teosofia, poi, questo “Figlio” è la Monade staccatasi dall’essenza suprema. Il che è la stessa cosa.

Abbiamo poi la figura dello Spirito Santo, che, per il Cristiani Cattolici, “Procede dal Padre e dal Figlio” (sempre citando il Credo di Nicea), mentre per gli Ortodossi, procede solo dal Padre.

Questi, però, sono dettagli.

Usando lo schema di prima, e applicandolo a quanto sopra, otteniamo un’altra “emanazione”, che altro non è che una parte dell’Infinito che diviene finita, e che ne mantiene le stesse caratteristiche.

In termini matematici, quindi, potremmo dire che “Il Padre è isomorfo al figlio, che è Isomorfo allo Spirito Santo”, stabilendo, quindi, un’equivalenza (ovviamente, un isomorfismo ha quella che in Matematica si chiama “Proprietà Transitiva” e che si esprime come: “Se a è in relazione con b, e b è in relazione con c, allora a è in relazione con c”).

Tuttavia, si può andare molto oltre. Infatti, la Trinità è un simbolo presente in molte Culture Spirituali. Tra queste, si può citare forse la più nota, la Trimurti Induista, quella Brahma, Vusnu e Shiva, che rappresentano il Creatore / Emanatore, il Continuatore e il Distruttore/Trasformatore.

Questa, a tutti gli effetti, è simile a quella Cristiana. E lo si evidenzia anche dal fatto che il simbolo di Visnu, seconda persona della Trimurti, è i pesci, che è lo stesso simbolo Cristo. E Cristo è la seconda persona della Trinità Cristiana.

Anche i ruoli di questi elementi sono quasi gli stessi di quelli della Trinità Cristiana: il Padre, infatti, è il Creatore/Emanatore, come lo è Brahma; il Figlio è il continuatore, che è venuto per portare la Parola del Padre, similmente a Visnu,e lo Spirito Santo è ciò che trasforma, che rende nuovi, che distrugge il vecchio per creare il nuovo, similmente a Shiva.

Anche nel Buddhismo esiste una Trinità. In questa tradizione, in particolare nel suo ramo Tibetano,  il tre lo si trova molto spesso: ci si inginocchia tre volte, si ripetono molte cose per tre volte e così via.

La “Trinità” di cui voglio parlare in questo caso è quella dei “Tre Corpi del Buddha”. La “Dottrina dei Tre Corpi” si chiama “Trikaya”, e richiama, anche nel nome, molto da vicino la Trinità Cristiana. È una dottrina del Buddhismo Mahayana, uno dei “Filoni in cui si divide il Buddhismo. Per saperne di più sui filoni del Buddhismo potete andare a questo indirizzo. Delle varie Scuole Buddhiste si occupa anche la prima parte del mio citato libro:

Il Cristianesimo alla luce del Buddhismo e delle Filosofie Orientali”.

I tre corpi del Buddha, secondo questa Dottrina, sono: Nirmanakaya, Dharmakaya, Sambhogakaya. Il primo di questi è il Corpo del Buddha, che è, sicuramente, analogo al Padre. È colui da cui l’insegnamento è partito, il suo corpo fenomenico. 

Il Dharmakhaya, invece, è il Corpo del Dharma. Il Dharma rappresenta l’insieme degli insegnamenti del Buddha. Quindi può essere visto come il “figlio”, perché proviene dal Buddha stesso.

Il Sambhogakhaya, invece, rappresenta il cosiddetto “Corpo di Fruizione”, il corpo della Trasformazione, visibile ai Buddha delle Terre Pure. Mi piace però, qui, riportare la definizione che ne dà Thich Nhat Hanh: secondo il Maestro, Il Sambhogakaya rappresenta i frutti del Dharma, quindi il Dharma messo in azione. Quindi, l’analogia con lo Spirito Santo, che è quello che muove, e che, secondo il Credo di Nicea, “ è Il Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato”, è sicuramente evidente. È quindi ciò che dà “vita” al Dharma, e che mantiene il Buddha vivo in coloro i quali ne praticano l’insegnamento.

Sempre nel Buddhismo, e in qualche modo collegata a questa, un’altra “Trinità” è quella Buddha, Dharma e Sangha, dove il Dharma è l’insieme degli insegnamenti del Buddha (in generale il Dharma è il corpo degli insegnamenti di uno o più Maestri) e il Sangha è la Comunità dei Praticanti: per definirla alla Thich Nhat Hanh, è “La Comunità che vive in armonia e Consapevolezza”.

L’analogia con la Trinità Cristiana anche qui è piuttosto evidente, dove il Buddha è il “Padre” Dharma è il “Figlio” (l’insegnamento che deriva dal Buddha), e il Sangha è lo Spirito Santo (è l’insegnamento del Buddha messo in pratica in Comunità).

Buddha, Dharma e Sangha sono anche detti “I Tre Gioielli”. Per chi volesse approfondire l’argomento, qui può trovare una dispensa a cura dell’Università di Messina, e qui un articolo a cura del Centro Buddhista Tibetano Karma Tegsum Ciò Lin di Brescia, Centro di Tradizione Karma Kagyu, una delle quattro Scuole della Tradizione Tibetana Kagyupa, che a sua volta rappresenta una delle quattro Scuole del Buddhismo Tibetano (le altre sono la Nyingmapa, la Sakyapa e la Ghelugpa: a quest’ultima appartiene il Dalai Lama e, direi, la maggior parte dei Centri di Buddhismo Tibetano).

Altre Trinità si possono ritrovare nelle Spiritualità del passato, quale quella Iside, Osiride e Horus dell’Antico Egitto. Vedendo l’analogia molto forte che appare tra Iside che tiene in braccio Horus, e la Madonna che tiene in braccio il bambino, e quelle tra la vita di Horus e quella di Cristo (che sembrano addirittura la stessa vita traslata di 4000 anni), possiamo affermare che anche qui si trova sicuramente somiglianza. Qui, però, non approfondisco oltre.

Credo che gli elementi per capire il tema della Trinità ci siano tutti. Manca ancora, per completare il quadro, una breve trattazione sul numero tre.

Il numero tre è presente in molte Tradizioni Spirituali, e non solo. È considerato il “numero perfetto”. In effetti la Trinità ha il numero tre in sé.

Secondo alcuni, il numero tre è l’unione di una Monade con una Diade. Ne parlavo anche nel mio libro: “Caino il Buono, e le delizie dell’albero della Conoscenza”. La Diade rappresenta il Dualismo, la Monade è ciò che tiene assieme la diade, e permette l’unità.

Nella Caduta dal Paradiso, la cosiddetta “Disobbedienza a Dio” potrebbe essere il distacco della Diade dalla Monade. Di conseguenza, una volta avvenuto questo distacco, nulla tiene più assieme i poli del Dualismo, che quindi tornano tali, nella separazione.

Non a caso, la stessa parola ”Diavolo”, argomento di cui avevo già parlato in questo articolo, significa “separazione”, quindi energia che separa, che divide. Senza più la Monade, la Diade torna ad essere tale, quindi torna la separazione, e  la polarità. Non a caso, proprio dopo avere mangiato il frutto, che in quel caso era la separazione, Adamo si rende conto di essere nudo: prima la separazione non esisteva, mentre in quel momento viene toccata con mano.

Lo spirito Trinitario è quello che permette il superamento del dualismo: quando questo viene meno, si genera quella separazione che è, appunto, la divisione da quell’essenza di unione che è il Padre.

Qui occorre, però, cercare di comprendere da cosa derivi questa essenza di unione. Forse è proprio lo Spirito Santo che la può rappresentare. Quell’essenza che “dà la vita” al Dharma, e che lo rende, secondo la definizione di Thich Nhat Hanh, “Sambhogakaya”, vale a dire frutto della Pratica, Corpo di Fruizione.

La Trinità è anche quella che, a detta di alcuni, permea la Divina Commedia, che può essere vista come una tensione al superamento del Dualismo, per giungere ad uno Spirito Trinitario. Su questo però non approfondisco: un approfondimento ci porterebbe davvero troppo lontano.

Come si può vedere anche in questo caso, superando la “barriera” di un Dogma, si vedono molte cose. E ciò che prima era posto come dogmatico assume una luce completamente nuova, e genera comprensione.

In questo caso, il simbolo trinitario, una volta guardato con occhi più aperti, genera bellezza, e permette di capire molte cose anche su di noi.

Spero che, almeno un po’, tutto questo sia passato. Se sì, quanto ho scritto è servito sicuramente a qualcosa. E spero che sia servito a tutti voi per darvi quello “slancio” che supera il Dogma, e crea nuova consapevolezza.

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