Di Claudio Rao
Mi ha molto colpito un dispaccio dell’ANSA della scorsa settimana su quello che potremmo definire analfabetismo di ritorno dei nostri giovani. Eccola: « Al centro-sud meno della metà dei diciottenni comprende i testi scritti – Ministero dell’Istruzione e del Merito».
La cosa pare confermata dai risultati disastrosi delle Prove INVALSI 2025 che hanno superato – in termini negativi – persino quelle datate Covid-19, come riportano alcune testate.
« Invalsi 2025, tonfo in italiano e matematica: risultati peggiori anche del periodo Covid » (Corriere della Sera). « Scuola, Invalsi 2025: un giovane su due finisce le superiori senza un livello base in italiano e matematica » (Il Sole 24 Ore).
Magra consolazione (che potremmo perfidamente sospettare correlata): « Scende la dispersione scolastica esplicita ma sale quella implicita “Abbiamo raggiunto gli obiettivi che l’Europa ci chiede”. Persiste il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud » come argomentano le colleghe Gianna Fregonara e Orsola Riva, autrici del libro « Non sparate sulla scuola » , Solferino editore.
Mi sembra lecito e perfino doveroso interrogarsi sulle cause che hanno condotto il nostro sistema educativo a sfornare persone con tali carenze e lacune. Com’è possibile che l’istruzione e la cultura che, nello spirito dei Padri costituenti, la Repubblica dovrebbe impartire e promuovere conoscano un periodo di tale oscurantismo?
Le cause sono molte e vedono la nostra scuola in caduta libera da diversi anni. Intendiamoci, il fatto che molti Italiani vadano all’estero e si facciano onore nei campi più disparati (dalla medicina, alla ricerca) attesta della validità di un sistema educativo troppo spesso criticato a torto. Tuttavia, dati reali ed incontrovertibili attestano il cattivo stato di salute della Scuola italiana.
Se l’inclusione è stata una tappa fondamentale, a cominciare dall’ingresso dei disabili nelle scuole di ogni ordine e grado, il loro percorso è stato inficiato da questioni di bilancio. Il sostegno è stato concesso col contagocce e molti casi vengono delegati agli insegnanti curricolari non necessariamente abilitati e già gravati dalla conduzione della classe in un contesto di perenne mutazione. Lo stesso dicasi per gli alunni stranieri, la cui alfabetizzazione preliminare, indispensabile all’integrazione nelle classi, è spesso considerata un atto di rifiuto e di esclusione. Per non parlare dei più dotati e i più capaci, troppo spesso mortificati dal dover sentire ripetere sotto molteplici forme cose che altri non hanno ancora capito in luogo di essere stimolati, incoraggiati, provocati intellettualmente.
I docenti, sempre più gravati da compiti amministrativi, si riducono a programmare attività e lezioni, correggere compiti, preparare cartelloni e materiali a casa, nelle ore serali o nei week-end.
La normativa poi, esaltando giustamente il ruolo delle famiglie in quella che potremmo definire “alleanza educativa”, impone spesso agli insegnanti – con la complicità di molti capi d’istituto – un’eccessiva attenzione alle attività, se non ludiche, quanto meno dinamiche ed extra-muros, privandoli di un tempo-scuola fatto di spiegazioni, ascolto, letture, proposte, esercizi e verifiche in itinere. E tutti sappiamo quanto lo studio necessiti di tempi di concentrazione e di attenzione. Di fatica. Stare chini sui libri, ricopiare, capire, misurarsi con concetti a prima vista ostici fa parte integrante della crescita, della maturazione, del processo di insegnamento-apprendimento. Tendere a trasformare la scuola in un Villaggio Alpitour, probabilmente non è la miglior soluzione.
Stendiamo un velo pietoso su lavagne multimediali, tablet e smartphone che – ancorché utilissimi – stanno facendo un gran danno alle capacità apprenditive dei nostri ragazzi. Video di pochi minuti, parlati e sottotitolati, in cui il giovane non deve fare alcuno sforzo di comprensione né attivare particolari capacità mnestiche e che spesso fanno appello alle emozioni epidermiche ed immediate, di pancia, senza alcun filtro logico o culturale. Senza alcun contraddittorio, soprattutto. Ci sarà una ragione per cui i creatori di questi – ripeto, utilissimi – strumenti mandano i figli in scuole esclusive (e costosissime) in cui computer, smartphone e tablet sono banditi!
Ciliegine sulla torta, quello che io chiamo il Catechismo di Maastricht con la sua educazione alla tolleranza, all’accoglienza, all’eco-responsabilità (che sottrae tempo prezioso allo svolgimento dei programmi curricolari) di cui l’Agenda 2030 ne é la Magna Carta e la miope volontà della riuscita universale, del diploma per tutti, (abbassando vertiginosamente i livelli minimi richiesti agli studenti) con l’abolizione di ogni forma di controllo ed autorevolezza, fonti di intollerabili frustrazioni. Il peggiore spirito Sessantottino in salsa XXI° secolo, insomma.
Fronte ad un mercato del lavoro sempre più selettivo ed esigente. Che non esita ad emarginare o ad escludere coloro che si rivelano troppo lenti, remissivi, poco performanti e incapaci di competizione.
Inutilmente – già nel lontano 1975 – il noto giornalista Vittorio Buttafava ammoniva: «Molti genitori soffrono, smaniano, si arrabbiano, perché il figlio, secondo loro, è trattato a scuola con ingiustizia dagli insegnanti. Ma sbagliano. Non diciamo, forse, che la scuola è palestra di vita? Ed allora, via, accettiamo che i nostri figli si preparino, sui banchi di scuola, anche alle ingiustizie della vita. Allenati a sopportare i capricci dei Professori, le interrogazioni sfortunate, le bocciature immeritate, forse, riusciranno, da adulti, a resistere ai disinganni nella carriera, ai tradimenti degli amici ed alle assurdità della Legge »¹.
¹ Dal libro “La vita è bella nonostante”, GAEditori.
Ringrazio mia figlia Valentine per le riflessioni che mi hanno portato ad arricchire queste considerazioni.
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