Apprendimento naturale – parte 4

Apprendimento naturale – parte 4

Di Sergio Ragaini

Parlare una Lingua: “Produzione”, Comunicazione, Interazione

In questa ultima parte ci preoccuperemo dell’uso corrente di una Lingua. Dopo avere visto come una lingua si può comprendere semplicemente soffermandosi solo su quegli elementi che si riescono a riconoscere spontaneamente, qui ci preoccuperemo di come parlarla in maniera fluida, senza costruire delle frasi, ma piuttosto lasciandole fluire già formate, utilizzando le “strutture” che la mente naturalmente crea, assorbendo la lingua, e che nella produzione linguistica verranno richiamate.

Poi affronteremo il tema della conversazione, dove la difficoltà è data dal “dover capire”, cosa che genera tensione, mostrando come, anche lì, l’intuizione e l’immaginazione saranno elementi fondamentali. Ovviamente, e questo sarà piuttosto importante da sottolineare, dopo essersi “liberati” dall’idea di errore.

Infine, verranno proposte delle riflessioni più “ad ampio respiro”, che faranno considerare altri aspetti dell’apprendimento naturale. Arrivando poi a delle conclusioni, che saranno un po’ un “tirare le somme” di tutto questo lavoro.

Nella  parte precedente del nostro lavoro parlavamo di “pronunciare delle frasi”. Ci siamo però occupati, soprattutto, della parte relativa all’ascolto di una lingua.

Ora è giunto il momento di occuparci di quella che possiamo definire “produzione linguistica”. Vale a dire, il parlare una lingua.

Vedremo che la cosa non cambierà molto, ma la resistenza che la mente farà sarà presente, soprattutto se, come è stato il mio caso, vi avranno insegnato a “costruire la lingua” a partire dalle regole. Tuttavia, proprio perché la mente è una struttura “plastica”, riuscirete a liberarvi facilmente di quella tendenza. Fino a scoprire la totale fluidità.

Dal significato alle parole: il processo inverso al precedente…. ma sempre fluido

Avevamo visto, quando si è trattato di svolgere l’esercizio precedente, che la mente, naturalmente, ricostruisce il significato partendo da un numero minimo di elementi.

Ora cerchiamo, invece, di vedere come utilizzare il processo nel caso di “produzione linguistica”.

Nel “produrre” una lingua, vale a dire parlarla o scriverla, il significato già l’abbiamo. E dobbiamo arrivare alle parole per esprimerlo. In maniera esattamente opposta alla comprensione, dove dalle parole si passa al significato (che, come visto, preesiste alle parole). Qui, invece, dovremo trovare le parole per esprimerlo. E vedremo che, anche qui, saranno parole che “si lasceranno trovare”.

Quindi, la prima cosa da fare, è mettere l’attenzione sul significato, vale a dire su dove bisogna arrivare. Lasciandosi comunque andare: stavolta l’attenzione è sul significato. Dobbiamo focalizzarci su quello che vogliamo esprimere. O lasciare che l’espressione fluisca spontanea. Comunque, qui, l’attenzione è sul significato, visto che non deve emergere spontaneamente, ma… lo diamo noi! A meno che non vogliate “lasciarvi andare” del tutto, lasciando che dalla mente emerga qualcosa in modo del tutto spontaneo.

Occorre sempre evitare ogni tipo di sforzo: anche qui, tutto giunge con naturalezza.

Ora dobbiamo solo fare sì che tutto fluisca spontaneamente. Lasciando, come prima, “che la mente faccia”. Senza ostacolarla in alcun modo. Anche in questo caso il processo è del tutto naturale.

Vedrete che, così facendo, il flusso del linguaggio emergerà in maniera spontanea.

Il processo, come avete visto, è opposto rispetto a quello precedente: si parte dal significato, e si lascia che le parole seguano.

Ostacoli e problemi… e loro superamento. E obiettivi da raggiungere:

Ci preoccupiamo, qui, degli ostacoli e problemi che potrebbero emergere nella produzione linguistica. Come sempre, vengono dalla Scuola e dall’educazione. Ma si possono superare, con un diverso approccio. Vedrete che non è nemmeno troppo difficile.

Blocchi… e paura di sbagliare

Quando proverete a fare questo, vale a dire lasciavi andare e parlare con naturalezza, vedrete che avrete, forse, alcuni problemi, soprattutto se avrete studiato come ho fatto io, con la costruzione delle frasi in maniera meccanica, magari, come me, in anni e anni di Scuola.

Questo, come visto, è un modo innaturale di lavorare.

Come si faceva notare nella Seconda Parte di questo lavoro, tutto ciò è anche enfatizzato dal fatto che, a  Scuola, questo processo era accentuato dalla paura di sbagliare. Infatti, se accadeva, diminuiva il voto. Quindi, l’attenzione era tutta focalizzata sul “non sbagliare”, con la paura e la minaccia incombente di brutti voti, e comunque sulla perdita di voto. Ci si concentrava sulle singole parole, con l’attenzione a “mettere tutto al posto giusto”.

Questo porterà, nella vostra mente, dei blocchi: in effetti, l’attenzione, a Scuola, inevitabilmente era tutta concentrata sul “fare le cose correttamente”, e non su altro. L’intenzione maggiore era “non  sbagliare”. Questo, ovviamente, ha provocato, anche sotto l’impulso della paura, degli atteggiamenti mentali che vengono perpetrati. La persona, quindi, tenderà a lavorare così anche nella comunicazione: partendo da regole e costruendo frasi. Soprattutto concentrata sull’idea di non sbagliare.

Occorre ribaltare questo processo… focalizzandosi su tutt’altro, e lasciando fluire.

L’Errore…. pensate che non esista!

La prima cosa da fare è quella di “lasciare andare” qualsiasi attenzione sull’idea di sbagliare, vale a dire qualsiasi concentrazione sull’idea di correttezza. L’attenzione alla correttezza, infatti, porta a rallentare il naturale flusso linguistico. Infatti, se farete attenzione al fatto che le regole siano applicate correttamente, come la Scuola voleva, e vi ha insegnato a fare, non potrete parlare in maniera scorrevole.

Perché il processo naturale possa funzionare, quindi, dovete assolutamente dimenticare l’idea dell’errore. Non esistono errori, non esiste lo sbagliare: esiste solo il fare fluire una lingua.

Null’altro.

Nel fare quanto vi dicevo, vale a dire mettere l’attenzione sul significato, e lasciare che le parole seguano, non dovrete quindi pensare in alcun modo all’errore, e alla possibilità di sbagliare. Tutto questo non esiste: non esiste alcun errore e nessuna possibilità di sbagliare.

Se la vostra mente sarà lì, sull’idea di sbagliare, riprenderete ancora la logica del “costruire le frasi”. Che è quello che va evitato, perché queste dovranno emergere spontaneamente.

Pensate che non esista alcun errore, che tutto sia corretto. E concentratevi solo sul significato, lasciando che le parole emergano spontaneamente. Tutto andrà per il meglio.

Fluidità: lo scopo da raggiungere

Quando pensate a “parlare bene una lingua” vi chiedete cosa voglia dire.

La Scuola vi ha insegnato che il parlare bene è parlare correttamente, con tutte le cose al loro posto.

E il fatto che i voti dipendessero da questo vi ha fatto pensare che fosse davvero così.

Se, però, andate a vedere, ad esempio, cosa per il Mondo Anglosassone significa “parlare bene una lingua”, trovate una parola: “Fluent”, vale a dire “Fluente”.

Il problema è che molti continuano a credere che questo “Fluent” continui a significare “corretto”! Qualcuno addirittura ha detto che “fluent” vuol dire “che si arrangia bene in quella lingua”.

In realtà, la parola “fluent” vuol dire che la lingua scorre “naturalmente e senza blocchi”.

Questo è esattamente quello che esprimevo prima: lasciare che la mente faccia emergere le parole.

Nel mio libro “Apprendimento linguistico: il sorriso della Comunicazione Globale”, dell’agosto 2018, quella che qui è, quasi, una “riflessione finale” era di fatto l’inizio e il primo obiettivo del libro.

Questo perché, allora, la mia personale ricerca in questo campo era ad un livello diverso, sicuramente meno avanzato. Qui, come avete visto, questa idea di “Fluent”, rientra in quello che è un discorso più generare del naturale funzionamento della mente. E ne diventa, per così dire, una conseguenza. Mentre là era il punto di partenza. Credo, tuttavia, che anche in quel libro io abbia dato degli spunti interessanti, almeno spero. Che, in qualche modo, anche se in maniera meno “decisa”, abbiano contribuito a scardinare, an che se non come in questo caso, i meccanismi che la Scuola ha posto, o meglio “imposto”.

Una riflessione che è interessante da fare, comunque, è il fatto che, una volta che si punta alla fluidità, la correttezza è implicita. Mentre il viceversa non è vero: puntare alla correttezza blocca la fluidità.

E, come abbiamo visto, la grammatica è solo uno strumento di analisi: solo quello. E questo va sempre tenuto presente. Non è uno strumento per parlare una lingua, ma solo per analizzarla.

Non dico che questo sia inutile: tuttavia, quando la si insegna, questo fatto del suo essere solo uno strumento di analisi va subito messo in chiaro. Altrimenti, le persone finiranno per credere che quello sia uno strumento necessario per parlare una lingua: e, da qui, nascono tutte le storture.

Poi, si può insegnare: basta avere chiaro sin  dall’inizio a cosa serve. E procedere di conseguenza.

Combinare produzione e ascolto: la conversazione

La Conversazione è il naturale uso di una lingua. Infatti, una lingua serve soprattutto per interagire con una Realtà.

Questo, purtroppo, potrebbe creare problemi, e lo vedrete subito.

Infatti, nella parte precedente, vi ho fatto presente che, nella comprensione di una lingua, non bisogna assolutamente “cercare” il significato, ma occorre fare sì che questo emerga con spontaneità.

Tuttavia, quando si dialoga, spesso sorge l’esigenza di “dover” capire. Infatti, durante un dialogo, potrebbe essere un problema il fatto che ci venga rivolta una domanda e che noi non la comprendiamo. Se dovesse accadere, infatti, sarebbe un problema. Non tanto per il fatto in sé: come possiamo immaginare, l’idea del “fare brutta figura “ è un’altra delle sovrastrutture che la Società e il Sistema ci hanno inserito. Questo non sarebbe un problema, e si può superare.

Il problema è che, se dovesse accadere che ci viene posta una domanda, e noi con comprendiamo, la successiva ripetizione ci vedrà sempre più “orientati” al fatto di “dover” capire: infatti, salirà l’ansia. E questo, come visto, aumenta lo sforzo, e riduce ancora di più la comprensione.

Per questo, il dialogo è spesso problematico: la necessità di “dover capire” ci mette nelle condizioni, se non stiamo attenti, di porre dello sforzo mentale per capire. E questo, come visto, porta l’effetto opposto: la non comprensione.

Se, quindi, in un dialogo, il parlare non è un problema, come abbiamo visto, o, meglio, lo si risolve lasciando fluire, il comprendere durante un dialogo che ci vede direttamente coinvolti in prima persona (ovviamente, se il dialogo è in un film è come l’ascolto già visto: tuttavia, lì non interagiamo!) porta proprio il problema del “dover” capire, del “dover “necessariamente” comprendere quanto ci viene detto, per interagire. E questo ci porta in una condizione, magari (anzi, quasi sicuramente!), proprio di “non comprensione”.

Il problema, nel dialogo, è anche se la domanda è veloce e diretta. Infatti, se il flusso è più “lungo”, ci si può facilmente “assestare” nel porre l’attenzione solo sugli elementi che riconosciamo. Tuttavia, se la domanda è diretta e veloce, spesso è difficile poter interagire con facilità e disinvoltura. Infatti, in quel caso, non abbiamo il tempo di “assestarci” su questo meccanismo. Quindi, siamo “presi alla sprovvista”. Come dicevo, se ci facciamo poi ripetere la domanda, lo sforzo mentale crescerà ancora, e comprenderemo sempre meno.

Come visto, in effetti, nella Terza Parte di questo lavoro, se non comprendiamo, e per questo aumentiamo lo sforzo mentale, comprenderemo sempre meno. Infatti, il mio suggerimento era stato quello di “lasciare andare” lo sforzo. Tuttavia, in un dialogo questo è piuttosto difficile da fare: infatti, come visto, il fatto di “dover capire” per poter dialogare, ci porterà ad aumentare lo sforzo: il risultato sarà che la comprensione, che già non c’era, sarà ancora più improbabile.

Questo potrebbe portare frustrazione, e l’idea che “non possiamo dialogare”.

Questo non è vero, e la prova è che siamo in grado, se siamo entrati in quello che vi ho descritto prima, di parlare e di comprendere. Non siamo in grado di dialogare proprio perché non stiamo più applicando i processi indicati prima: ci stiamo facendo “sopraffare” dalla volontà di comprendere, invece che lasciare emergere il significato.

Il problema, come dicevo, è che durante un dialogo siamo nell’esigenza di “dover capire”. Questo ostacola il naturale funzionamento della mente, perché crea sforzo. E porta, inevitabilmente, a non comprendere, o a smettere di farlo.

A questo punto, dobbiamo invertire questo processo: anche se siamo nell’esigenza di “dover capire”, possiamo comunque decidere di lavorare come abbiamo visto prima. Nessuno ce lo impedisce, tranne la volontà del capire. Che possiamo lasciare andare.

Per farlo, però, dovremo “educarci” a farlo. Resistendo alla tentazione di aumentare lo sforzo.

Per questo, una delle possibilità è cominciare una conversazione con una meditazione, anche di pochi minuti. Che ci aiuti a lasciare andare la volontà del “capire a tutti i costi”. Una volta che il processo del “non sforzo di capire” viene attuato in maniera spontanea, sarà facile attuare il processo di comprensione. Potete utilizzare la meditazione che vi ho suggerito nella Terza Parte, oppure sceglierne una voi. Al limite, se non vi viene in mente di meglio, chiudete semplicemente gli occhi e fate qualche respiro. Potrebbe già essere sufficiente. Se volete, applicate qualche visualizzazione, quale quella del significato oltre le parole, del fatto di parlare con fluidità o altro ancora. O, magari, anche solo un paesaggio che vi piace. Sicuramente, tutto questo vi aiuterà a preparare la mente al meglio per il dialogo.

Quando si dialoga, quindi, dobbiamo “resistere alla tentazione” del voler capire. Anche se siamo nelle condizioni di “dover capire”, non dobbiamo comunque porre l’obiettivo su quello, ma piuttosto sul flusso naturale del linguaggio, come facevamo prima.

Se lo facciamo, vedrete che anche il dialogo non sarà un problema.

Proprio per evitare quella tensione che ci porterebbe ad attivare il meccanismo del “dover capire”, la meditazione, come dicevo, può essere un buon modo per orientare il processo di comprensione nella giusta direzione, portandoci a capire senza sforzo.

Di seguito, è credo interessante dare una serie di indicazioni su come utilizzare la mente naturale durante il processo di dialogo e conversazione. Per riuscire a orientare il tutto come vogliamo noi.

Alcune cose saranno state dette, anche poco fa: prendetele come un “riepilogo”.

  • Meditazione: Può aiutare, come dicevo, iniziare il dialogo, anche qualche minuto prima, con una meditazione. Questa, come già ricordato, non deve dare sopore, ma mantenere appieno la vigilanza. Una siffatta meditazione ci aiuterà a dialogare al meglio.
    Se vogliamo, possiamo considerare l’intero dialogo come una forma di meditazione: in fondo, il maestro Zen Vietnamita Thich Nhat Hanh diceva che ogni azione può essere compiuta in maniera meditativa. Anche questo dialogo, quindi, potete viverlo in questo modo: come una meditazione. Naturalmente se lo volete.
    E, in ogni caso, iniziare con una meditazione orienta positivamente la mente. E permette di attuare il giusto atteggiamento durante il dialogo, senza cedere al “voler capire a tutti i costi”. Cosa che, come abbiamo visto, è il modo migliore per non capire.
  • Velocizzare il processo del lasciare emergere il significato: come abbiamo visto, la mente è in grado di ricostruire significati anche da pochissimi elementi. Questo ci permette di affermare che lo fa anche in questo caso. Soltanto, il fatto del Voler capire”, e spesso del “dover capire”, blocca il processo naturale della mente, e il suo funzionamento naturale. Di conseguenza, la comprensione non avviene.

Quello che suggerisco di fare, quindi, è ripetere più volte il processo del “lasciare emergere il significato”, visto nella parte precedente (la Terza), in modo che possa avvenire in tempi sempre più brevi, fino ad avvenire nell’immediatezza. Cosa spesso richiesta dal dialogo, soprattutto quando, come visto, si tratta di veloci domande rivolte direttamente a noi.
In quel caso, focalizzarsi aiuterà moltissimo a liberare la mente. Nel senso di abituarsi a cogliere il significato in tempi sempre più veloci.
È, quindi, tutta questione di esercizio, di ripetere il processo del lasciare emergere il significato finché questo avverrà immediatamente.
Nell’ascoltare l’interlocutore del dialogo, quindi, occorre continuare ad evitare di cercare il significato. Tuttavia, perché la comprensione possa essere attuata, ed avere luogo, occorrerà che questa avvenga molto rapidamente, con i tempi richiesti dal dialogo stesso, che non permettono alla mente di “assestarsi” sulla comprensione.

Esercitatevi, quindi, finché questo meccanismo non sarà quasi immediato. A quel punto, sarete pronti per dialogare senza problemi.

  • Usate l’immaginazione: Nel caso in cui, proprio, la comprensione non avvenga, non fatevi sopraffare dall’ansia: quella vi porterebbe, inevitabilmente, a “cercare il significato”. E sapete bene che questo vi porterebbe a non comprendere più nulla.
    Quello che dovete fare è quello che vi avevo suggerito nell’immersione in lingue, sconosciute: vale a dire, usare l’immaginazione. Dal tono di voce, dall’espressione, dalla modalità di porsi, potrete verosimilmente intuire quello che il vostro interlocutore sta dicendo, o vi sta chiedendo.
    Per fare questo, ripetete diverse volte gli esercizi di immersione in lingue sconosciute, visti nella parte precedente: questo vi aiuterà a sviluppare l’immaginazione e l’intuizione necessarie per poter “afferrare” quello che non afferrate direttamente. Spesso, se non quasi sempre, l’immaginazione funziona! E ve ne renderete conto!
  • Ricordate che “nessuno vi giudica”! Troppe volte, nella nostra educazione, ci hanno “riempito” con tanti “Che figura ci fai se…”. Di conseguenza, pensiamo di “fare brutta figura” se qualcosa non va. Non vi preoccupate, non accadrà! Nessuno vi giudica per cose di questo tipo!
    Esattamente come, se uno scrive un libro in un’altra lingua, il fatto che ci siano dei problemi non viene nemmeno notato (e se viene notato, cosa accade, in effetti?), anche nel dialogo, il fatto che ci siano delle “defaiances”da  parte vostra, non è così grave! Può accadere! Siete, in fondo, delle persone umane, e le persone umane possono sbagliare. Proprio per loro stessa natura.
    Quindi, se vi capita qualche problema, durante un dialogo, potere sorridere, e magari risolvere con una battuta: potreste addirittura “rivolgere la situazione“ a vostro favore. Facendovi percepire come una persona che sa “ridere” dei suoi problemi. In fondo, l’autoironia è una grande dote, e le persone davvero intelligenti sanno anche “prendersi in giro”, quando occorre!

Dovesse, quindi, capitare qualche problema, prendetevi in giro con ironia. Vedrete che tutto potrebbe addirittura volgersi a vostro favore, invece che essere un ostacolo e un problema.
In fondo, il “che figura ci fai se…” è un’invenzione di chi vi ha educato in quel modo. Non fate nessuna figura, questo ricordatelo sempre. La figura la fate, e davvero, se rifiutare l’interazione perché “vi hanno insegnato che non dovete sbagliare”.
Come dico talvolta, lo sbagliare, e addirittura il non comprendere, è bellezza, ed è solo  un’occasione.
Vivete così, quindi, anche eventuali problemi. E vedrete che tutto cambierà. 

Esercizi (preparatori): l’immediatezza

Vi do ora qualche esercizio per sviluppare l’immediatezza, elaborato dall’Intelligenza Artificiale.

Potete pensare questi esercizi come “preparatori” a quelli che seguiranno, oppure solo come altri esercizi. Vedete voi: potete fare quello che volete.

Sono solo una serie di esercizi per “sbloccare” i processi mentali che la Scuola ci ha, per così dire “sabotato”, ripristinandoli.

Se scegliete di farli, seguite le indicazioni di farli in maniera immediata, senza “starci a pensare troppo”. Ricordate che l’errore non esiste: quindi potete fare emergere quello che volete, anche se non ha apparentemente senso. Meglio un “nonsenso fluido” che un qualcosa di sensato costruito.

Provate quindi ad eseguire i seguenti esercizi:

  • Rispondere istintivamente senza pensare alla grammatica: Le domande potete anche immaginarle, o farvele porre dall’Intelligenza Artificiale. Rispondete senza analizzare nulla: anche la prima cosa che vi viene in mente.  
  • Ripetere frasi ascoltate senza modificarle. Ascoltate alcune frasi in un’altra lingua. Poi provate a ripeterle, senza fare nulla. Ripetete quello che avete capito, qualsiasi cosa sia.
  • Ascoltare un dialogo e rispondere immediatamente senza analizzarlo. Ascoltate un dialogo, non analizzatelo e rispondete la prima cosa che vi viene in mente.

Per il successo di questi esercizi, dovete attivare il “non giudizio” nei vostri confronti, e “davvero” non analizzare nulla di quello che ascolterete. Altrimenti, gli esercizi non sortiranno alcun effetto.

Esercizi: la fluidità

Quelli che seguono sono gli esercizi a conclusione del nostro lavoro, per comunicare in maniera fluida.

Il primo di questi esercizi riguarderà la comunicazione, se vogliamo anche unidirezionale. Vale a dire, produrre un’altra lingua.

Il secondo, invece, riguarderà la comunicazione in un’altra lingua, vale a dire il dialogo con un interlocutore. Questo, come visto, sarà l’esercizio più difficile dal punto di vista linguistico, perché implicherà il fatto di riuscire a comprendere, in tempo reale, quello che viene detto. Senza, però, concentrarsi sulla comprensione. Sarà il vero “banco di prova” della comunicazione, in cui vanno a coincidere la produzione e la comprensione di un’altra lingua.

Gli stessi esercizi, in particolare il primo, possono essere effettuati anche con la scrittura. In quel caso, fate la stessa cosa quando scrivete. Applicando gli stessi principi.

Il dialogo, quando si scrive, ad esempio in una chat, vedrete che sarà più semplice di quello attraverso il colloquio, perché comunque avrete più tempo. Vi suggerisco comunque di applicare gli stessi metodi che utilizzate con il dialogo, e di non andare ad analizzare più di tanto le frasi. Anzi: se potete non analizzatele affatto: aiuterete così l’assorbimento naturale della nuova lingua. Altrimenti, rischiate di ricadere nei parametri della Scuola, vale a dire applicare degli schemi che non sono quelli che dovremmo applicare.

Questi esercizi saranno un po’ la conclusione di tutto quanto è stato detto in queste parti del lavoro. E vi proietteranno verso la comprensione e la produzione linguistica con fluidità.

Non mi resta, quindi, che augurarvi buon lavoro.

Esercizio 1: Produzione linguistica: il momento di “lasciarsi andare”

Questo esercizio si propone il parlare in un’altra lingua.

Come già vi dicevo, il Mondo Anglosassone, quando si indica “parlare bene una lingua”, usa la parola “fluent”. Questo cosa vuol dire? Semplicemente che la lingua deve scorrere naturalmente e senza blocchi.

Come abbiamo visto, questo rientra nel concetto di “funzionamento naturale della mente”. È stato l’argomento di tutte le parti di questo lavoro. La mente, naturalmente, è fluida e scorre con naturalezza, non ha blocchi. La Scuola inserisce questi blocchi, e impedisce il funzionamento naturale della mente.

Dobbiamo, e l’abbiamo visto, tornare ad utilizzare la mente per come è programmata a funzionare. E lo faremo anche ora.

Come sempre, iniziate con una Meditazione che non vi faccia dormire, o venire sopore. Dovete essere vigili. Come visto, evitare lo sforzo mentale non vuol dire essere sopiti. Scegliete quindi una meditazione che non vi faccia quell’effetto.

Dopo che sarete entrati nel giusto stati mentale, pensate ad un argomento di cui parlare. Uno qualsiasi. Immaginate, se volete, di parlare con qualcuno.

Potete anche, similmente, pensare di scrivere qualcosa, se volete. Potete fare entrambi gli esercizi, una volta con il linguaggio, un’altra con la scrittura. Naturalmente se lo vorrete. Se lo farete, comunque, sperimenterete due modalità diverse, entrambe parti della lingua.

Fate mente locale su quello di cui dovete parlare, e mettete l’attenzione su questo, e solo su questo.

Dopodiché, lasciatevi andare, senza giudicare, a quello che vi esce nella lingua che avrete scelto. Come vi dicevo, lasciate che le parole seguano in maniera naturale, senza sforzo. Non giudicate quello che accade: l’importante è che evitiate gli sforzi, e che evitiate, assolutamente, di costruire le frasi partendo dalle regole. La Grammatica, come vi dicevo, è solo uno strumento di analisi della lingua, e non è di certo uno strumento da utilizzare per parlarla. Ha la sua funzione solo come strumento di analisi: solo in quello.

Se volete modificare leggermente l’esercizio, sostituite il discorso a singole frasi, su qualche argomento. Devono “uscire” in maniera spontanea.

Vedrete, in tal senso, che più lingua avrete assimilato, meglio questo esercizio funzionerà. E vedrete anche che, tutto quello che avete assimilato, è spontaneamente lì, anche se vi sembra che non ci sia. È la “Memorizzazione implicita” di cui vi parlavo già nella Prima Parte di questo lavoro: non sareste in grado di ripetere meccanicamente le cose, ma quando servono, quando dovete usarle, le riproducete in modo fluido. Vedrete che, se vi eserciterete in questo modo, vi stupirete di come le frasi e le strutture usciranno da sole, connesse tra di loro. E scoprirete che tutto quello che avete assorbito della lingua, e che non ricordavate nemmeno di avere dentro di voi, uscirà in modo naturale, e senza alcuno sforzo. AnzI. Meno sforzo farete, più le cose usciranno spontaneamente.

Per questo fatto, vi suggerisco, mentre fate questi esercizi, di non smettere di fare quelli sulla memorizzazione implicita, che vi avevo indicato nella prima parte: quelli sono, sostanzialmente, la “base” per il buon funzionamento di questi. Se volete, inventatene degli altri, o chiedete consiglio… all’Intelligenza Artificiale. Su queste cose è un aiuto davvero straordinario.

Vedrete che la lingua fluirà sempre più naturalmente. Potete anche, dentro di voi, “immaginare” situazioni, e interagire con queste, in maniera libera e fluida. E quello che avrete assimilato, come dicevo, diverrà parte della vostra comunicazione.

Naturalmente, tutto questo avverrà se eviterete di “bloccare” il processo e costruire le frasi e le strutture: questo è fondamentale. Se lo farete, tutto si bloccherà: e lo noterete subito.

Anche qui, vi chiedo di avere piena fiducia nella mente, e nelle sue capacità di lavorare in maniera fluida e spontanea.

Esercizio 2 – Simulazione di dialogo

La seconda parte di questo esercizio si propone proprio di lavorare sul dialogo. Come abbiamo visto, questa è la parte più difficile, in quanto si è nelle condizioni di “dover” capire, per poter dialogare.

Questo, come visto, impedisce il flusso naturale, in quanto ci si trova nelle condizioni di creare rigidità e sforzo, proprio per la comprensione.

Simulare dialoghi serve proprio ad abituarsi a questa modalità, magari lasciando fluire l’intuizione e l’immaginazione.

Per questo esercizio, potete tranquillamente utilizzare l’Intelligenza Artificiale. Che non giudica e non emette verdetti sulle persone. Potete utilizzare software come “Talk Pal” o altri ancora, per i dialoghi.

Iniziate un dialogo nella lingua in cui scegliete di farlo, Magari scegliendo un argomento.

Il mio suggerimento è di essere il più possibile “interattivi”. Lasciando sempre che il significato emerga naturalmente. Se non emerge, rispondete quello che credete, anche se poi scoprirete non essere assolutamente attinente con quanto vi è stato chiesto. Non stateci troppo a pensare. Dall’altra parte non c’è un interlocutore che vi giudica, ma solo un chatbot e una rete neurale. Quindi non vi preoccupate di quello che direte. Se cercherete di analizzare quello che vi viene detto dal vostro interlocutore virtuale, bloccherete il processo naturale. Anche se, quindi, non avete capito cosa vi è stato chiesto, o non vi è pervenuto alcun significato, rispondete comunque, quello che volete. Provate a intuire cosa potrebbe esservi stato detto o chiesto. Se direte una cosa por un’altra, non ci saranno problemi: va bene così. In fondo, la naturalezza è proprio questa: interagire senza che vi preoccupiate più di tanto di quello che viene detto o fatto. Siete nella condizione perfetta di poter dire esattamente quello che vorrete, senza alcuna preoccupazione di alcun tipo.

Vedrete che, se farete questo esercizio per un po’, capirete come “intuire” quello che vi è stato detto, anche se non lo comprendete. E questo accadrà anche con interlocutori “fisici”.

L’importante è che lasciate andare: nessuno vi giudica, nessuno vi dice quello che dovete fare. Siete solo voi con una struttura di Intelligenza Artificiale. Tutto qui. Vedrete che funzionerà molto bene, e imparerete a capire anche senza che la comprensione vi sia. Come vi dicevo, è l’esercizio migliore.

Alcuni esercizi proposti dall’Intelligenza Artificiale

Concludiamo questa parte di esercizi con alcuni esercizi proposti dall’Intelligenza Artificiale.

Li potete eseguire quando volete, anche durante il giorno, quando siete in giro.

Non consideratevi stupidi se, ad esempio, parlerete da soli o simili. Magari, fatelo senza che vi vedano: non perché, in assoluto, sia sbagliato: ma sapete la gente non sa, spesso, fare altro che giudicare. Però, fate quello che volete. In casa, se volete “parlare da soli” in un’altra lingua, va benissimo. Anzi: in mancanza di interlocutori, è un ottimo modo per procedere.

Anche se oggi, fortunatamente, c’è l’Intelligenza Artificiale per farlo. Ed è un grandissimo aiuto.

Dialoghi a tempo

  • Metodo: Ascoltate una domanda in una lingua che non sia la vostra madrelingua (potete anche farvela fare dall’Intelligenza Artificiale) e date una risposta immediata, senza pensare. Anche se è solo una parola o una frase semplice, l’importante è non fermarsi a costruire mentalmente la frase.
  • Obiettivo: Stimolare il cervello a rispondere istintivamente, come accade nella lingua madre.

Ripetizione mimetica

  • Metodo: Prendete un breve dialogo in una lingua che non sia la vostra (può essere da un film, un’intervista, un podcast) e ripetete le frasi esattamente come le sentite, con la stessa intonazione e ritmo.
  • Obiettivo: Assorbire la struttura linguistica in modo naturale, senza analizzarla.

Pensare nella lingua senza tradurre

  • Metodo: Durante il giorno, provate a pensare direttamente nella lingua che volete apprendere, anche solo frasi semplici. Per esempio, mentre camminate potete descrivere mentalmente ciò che vedete nella nuova lingua.
  • Obiettivo: Spezzare la dipendenza dalla traduzione e attivare il pensiero fluido nella lingua.

Ascolto passivo immersivo

  • Metodo: Mettete in sottofondo conversazioni autentiche nella lingua che volete imparare, senza cercare di capire tutto. Basta assorbire suoni, ritmi e parole senza sforzo mentale.
  • Obiettivo: Allenare la mente a percepire la lingua come qualcosa di naturale, senza bisogno di costruirla pezzo per pezzo.

Storytelling spontaneo

  • Metodo: Prendete una serie di immagini (può essere un fumetto, delle foto casuali) e provate a raccontare una storia breve nella lingua che volete assimilare, senza preoccuparsi di grammatica o perfezione.
  • Obiettivo: Creare fluidità nel parlare, perché il cervello si concentri sul significato anziché sulla costruzione tecnica.

Come in tutti gli esercizi proposti, vi raccomando immediatezza. Se farete sforzo per costruire frasi o cercare di capire, questi esercizi non potranno sortire alcun effetto. Il loro scopo è proprio quello di “rompere” gli schemi esistenti, ripristinando il naturale funzionamento della mente: se li porterete avanti tali quali, riprendendoli in questi esercizi, ovviamente non li romperete.

Se la risposta, a questo punto, è: “Ma non mi viene in mente niente!”, ricordate che ci può volere tempo per liberarsi da condizionamenti che sono lì, magari, da anni e anni. Ricordate però, anche, che se lavorate con costanza, è garantito che li supererete: la mente è molto “plastica”, e si adatta facilmente a nuove situazioni, in questo caso in linea con il suo naturale funzionamento. Basta darle il tempo di adattarsi. Essendo programmata per funzionare in questo modo, sarà facile che torni ai suoi “standard” e alle sue modalità abituali.

In un video, da me realizzato, parlo di questi argomenti. Potete trovarlo a questo indirizzo. A questo indirizzo, invece, potete trovare l’intera Playlist dedicata all’Apprendimento Naturale. All’interno, anche un video (per comodità vi riporto il suo indirizzo) dove spiego come, anche per le cosiddette “Lingue Morte” (come il latino e il Greco), si possano utilizzare metodi “fluidi”, evitando quindi “discorsi” sulle declinazioni e simili. In tal modo, anche le Lingue Antiche diverrebbero davvero “vive”.

Riflessioni finali

Ora è giunto il momento di fare delle riflessioni conclusive del nostro “percorso”.

Evitiamo qui riflessioni che, in qualche modo, possano far riflettere sul fatto che, verosimilmente, è possibile che i metodi scolastici siano esplicitamente pensati per creare blocchi, e mantenere la fluidità linguistica come privilegio per pochi.

Su questo fatto si potrebbe riflettere a lungo. Tuttavia, per il momento evitiamolo. Potrebbe essere l’argomento di un prossimo articolo. Un articolo che, quando lo leggerete, auspico che, almeno in parte, vi sarete “riappropriati” dei vostri processi naturali di elaborazione linguistica. Per cui, potrete anche leggerlo con quel “distacco” che potrà avere chi, ormai, è già “oltre la barricata”, e guarda i Metodi Scolastici con il sorriso di chi ha capito l’inganno.

Se, per intanto, vorrete saperne qualcosa di più, descrivo la situazione, in maniera abbastanza diretta, nel mio video, che potrete trovare a questo indirizzo.

Queste riflessioni riguarderanno tematiche più “generali”, ma sempre connesse all’apprendimento linguistico. Sarà un modo per concludere “ad ampio respiro”, per riflettere su situazioni che, in effetti, appaiono piuttosto “particolari”.

Chi non ha fatto studi specifici…. forse ha maggiore apertura! Un caso emblematico

Anni fa avevo conosciuto un ragazzo tedesco. Un amico di amici. Quando l’ho conosciuto, ho visto che parlava correntemente italiano. Eravamo sui navigli e abbiamo incontrato delle persone greche: lui si era messo a parlare in greco.

Era sicuramente un poliglotta naturale, e aveva la “fortuna” di essere tedesco, e di avere studiato in Germania. Forse, se fosse stato italiano, e avesse studiato in Italia, sarebbe uscito dalla Scuola con l’idea di essere negato per le lingue. Niente di più facile.

Quando gli ho chiesto come avesse fatto, mi ha detto che aveva, in alcuni casi, utilizzato un metodo che si chiamava “Assimil”. E che funzionava benissimo. Lui stesso l’aveva dimostrato molto bene!

Mi sono quindi informato su questo metodo, e mi sono procurato un manuale Assimil di Russo. Purtroppo, questo manuale è andato perso, quasi subito, durante un trasloco da me effettuato, senza che potessi nemmeno praticamente lavorarci.

Dandoci una rapida occhiata, cosa che avevo comunque fatto, appena l’avevo ricevuto (l’avevo ordinato online), pareva di trovarsi in un  ambiente avveniristico. Anche nei modi.

Troneggiava l’idea del “senza sforzo”. E veniva ricordato di non  fare sforzo.

Proprio come la mente naturale lavora. Indubbiamente, chi aveva ideato questo metodo aveva capito molto bene!

Ho quindi voluto saperne di più. E ho cercato informazioni su quando questo metodo fosse stato elaborato. La data poteva colpire: 1929. Quasi 100 anni da oggi.

La cosa poteva colpire davvero: quasi 100 anni fa, quando gli studi di neuroscienze non erano certo quelli di oggi, qualcuno aveva avuto idee davvero “avveniristiche”.

A quel punto, sono andato ad informarmi su chi avesse ideato un simile metodo, così incredibile.

E ho scoperto che era un certo Alpohonse Cherel (1882-1956). Questa persona, in un’epoca dove la Meccanica Quantistica aveva già gettato i suoi semi, che avrebbero aperto nuove prospettive, non solo sulla Fisica, ma anche sull’esistenza (sarà stato un caso? Forse no!) elaborava questo metodo.

Grazie alle sue scoperte, e alle sue ricerche, Cherel poté fare , durante la Seconda Guerra Mondiale, l’interprete per diversi eserciti, tra cui quello Russo e quello Tedesco. Questo vuol dire che il suo metodo funzionava davvero bene!

Quello che era interessante, è che il suo primo libro, proprio di quel 1929, si intitolava: “L’Anglaise sans Peine”, vale a dire “L’Inglese senza sforzo”. In effetti, Cherel aveva capito: la mente naturale lavora senza sforzo. Solo… l’aveva capito nel 1929. Ed aveva aperto la strada ad un nuovo modo di apprendere qualsiasi lingua. E senza fare sforzi. Infatti, viene sempre ricordato di non fare alcuno sforzo per memorizzare le parole. Lavorando con il suo metodo, si scopre che queste (le parole) si “sedimentano” da sole.

Insomma: già quasi 100 anni fa qualcuno aveva perfettamente capito.

Ora ci chiediamo cosa facesse Cherel. Qualcuno può pensare “Il Linguista”, e qualcuno altro ancora penserà che aveva qualche attività connessa con le Lingue. Ebbene,. Alphonse Cherel, almeno nei suoi primi anni di vita, faceva … il mugnaio! Sì, avete capito bene, macinava la farina! La sua famiglia, infatti, aveva un mulino a Romazy, vicino a Rennes, in Bretagna. E ha elaborato un metodo di apprendimento linguistico sorprendente. Dopo il diploma, non legato al tema linguistico, decide di trasferirsi subito a Londra, nel 1902, e poi a Berlino, nel 1906, facendo il Precettore. Questo vuol dire che parlava già correntemente Inglese e Tedesco.  Nel 1909 si reca a Mosca, per ricongiungersi al fratello Georges, e in questo modo impara anche il Russo. Durante la Prima Guerra Mondiale aveva fatto l’interprete per le Forze Armate Francesi. Dopo la Prima Guerra Mondiale viaggerà in Spagna e Italia, imparando così anche lo Spagnolo e l’Italiano. Tornerà in Francia nel 1927, dove si stabilirà definitivamente a Parigi.

La Casa Editrice Assimil fu da lui fondata nel 1929, Pubblicando “L’Anglais sans peine” (l’Ingese senza sforzo), tradotto in tedesco, spagnolo, italiano e russo. A questo seguirono, sempre con la dicitura “sans peine” (senza sforzo), il Francese, il Tedesco, lo Spagnolo, l’Italiano e il Russo. Nel 1933 vengono associate ai libri le registrazioni in vinile. Vivrà fino al 1956, e le redini della sua Casa Editrice saranno prese dal figlio Jean-Loup.

Comunque, come abbiamo visto, non aveva nessun titolo accademico: solo un normale diploma. Tutto quello che aveva imparato l’aveva imparato… “sul campo”.

Aveva girato il mondo, come visto, nella sua giovinezza: e dove andava imparava naturalmente la lingua.

E, pare proprio, abbia ideato questo metodo osservando la farina che si macinava. I singoli elementi della lingua erano i chicchi: la mente li “macinava” e ne faceva un tutt’uno, la farina. In qualche modo, apprendere una lingua era come partire da “chicchi”, vale a dire elementi, e trasformarli in “farina”, vale a dire in un tutt’uno organico e omogeneo.

Questo ci dice che, forse, lo studio accademico può essere “una gabbia”: forse, se Cherel avesse fatto il linguista, compiendo studi accademici, non sarebbe arrivato a queste idee: infatti, forse avrebbe cominciato a credere a quello che gli avevano insegnato, vale a dire che una lingua è un insieme di regole. Lui ha capito che è un flusso, e che va “assimilata”: il nome del suo metodo lo dice molto bene.

Anche in altri campi, le migliori intuizioni sono sovente giunte da non addetti ai lavori. Lo studio accademico può essere qualcosa che ingabbia, non che libera. E questa è la prova.

In fondo, abbiamo, credo, dimostrato, in questo studio, che la Scuola è, in buona parte, una sovrastruttura che blocca il funzionamento naturale della mente. E questa potrebbe essere la prova!

Essere “contro il Sistema”… e poi abbracciarne i metodi

Questa riflessione è. Credo, piuttosto importante per comprendere cosa possa significare essere “contro il Sistema”.

Tanta gente, oggi, si definisce “contro il Sistema”, affermando che vuole liberarsi dai condizionamenti che il Sistema impone.

Tuttavia, non si è liberata dal primo, grande, condizionamento del Sistema: vale a dire il sabotaggio della nostra mente.

Come visto, il Sistema, attraverso la Scuoia e l’Educazione, impone alla mente un funzionamento esattamente “opposto” al suo modo naturale di funzionare. Questo porta la mente a non funzionare più nel meraviglioso modo in cui potrebbe funzionare. Proprio perché la si forza in modi innaturali di funzionare.

Essere “contro il Sistema”, quindi, significa smettere di accettare che la nostra mente funzioni come il Sistema ha imposto che debba funzionare. Ripristinando, di conseguenza, il suo naturale funzionamento.

I movimenti contro il Sistema, al contrario, lavorano molto contro gli schemi e le strutture del Sistema. Tuttavia, evitano di lavorare alle radici del condizionamento: vale a dire, il sabotaggio della nostra mente.

Il vero modo per essere contro il Sistema è quello di riprenderci in mano la mente per quello che la mente può davvero darci. Riprenderci quindi in mano il modo con cui la mente elabora in maniera naturale, il modo con cui naturalmente assorbe informazioni.

Finché si accetta il modo con cui il Sistema ci ha educato, la trasformazione non sarà una “vera” trasformazione. Questa, necessariamente, deve passare dal modo in cui elaboriamo e assorbiamo informazioni.

Quando avremo ripristinato tutto questo, allora l’essere “contro il Sistema” avrà davvero un senso. Diversamente, se accetteremo i sabotaggi mentali del Sistema, la nostra opposizione sarà solo fittizia.

E i cammini spirituali? Trasformano “davvero” la mente? Qualche dubbio mi viene!

Dopo tutto quello che abbiamo visto sulla trasformazione dei processi cognitivi, che altro non è che la riscoperta del modo con cui la mente “davvero” lavora in maniera naturale, ora mi viene spontaneamente una riflessione.

Mi è capitato, nel corso della mia vita, di approcciare diversi cammini spirituali. In  tutti, o quasi, si parla di “risveglio della coscienza”, di “trasformazione della mente” e così via.

Tuttavia, vedendo questi praticanti spirituali, si scopre, ad esempio, che sono stati in India diverse volte, e non parlano inglese. Su scopre che parlano di una nuova lingua e chiedono “Com’è la Grammatica”. Si scopre che memorizzano in maniera meccanica, senza utilizzare la memorizzazione implicita. E altro ancora.

Quindi, la loro “trasformazione della mente” non ha toccato le basi del funzionamento della mente: vale a dire, come la mente acquisisce ed elabora la realtà.

Insomma: parlano di “mente risvegliata” di “mente nuova”, di “mente luminosa”, e continuano a ragionare con i parametri della “mente vecchia”.

Io, a questo punto, mi chiedo: come si fa a decidere di liberarsi dai condizionamenti, e dichiararlo apertamente, se prima non ci si libera da quello che è il condizionamento più grande, vale a dire l’utilizzo della mente in modo “condizionato”, iniziando ad utilizzarla in modo “non condizionato”?

Se una persona, insomma, dice di fare un cammino per diventare nuovo, pr avere una “mente rinnovata”, e poi ragiona ancora come gli ha insegnato a farlo la Scuola, come può dirsi “davvero” risvegliato, visto che è ancora vittima dei blocchi e dei condizionamenti inseriti dalla Scuola e dall’Educazione?

Il “vero” risveglio”, secondo me, deve necessariamente partire dalla riscoperta delle nostre potenzialità mentali, dalla riscoperta di come la nostra mente funziona, di come elaboriamo le informazioni. E recuperare il funzionamento naturale della mente: quello che, nei primi anni di vita, ci ha permesso di fare così tanto.

Se non è in queste condizioni, qualsiasi cammino spirituale non tocca le fondamenta del pensiero. In pratica, lavora come se costruisse una casa senza fondamenta. E le fondamenta sono la ristrutturazione dei processi cognitivi.

Una persona che fa un cammino spirituale ci si può aspettare che memorizzi in maniera implicita, che assimili altre lingue in maniera naturale, che apprenda senza sforzo. E così via. Invece no: magari pratica un cammino spirituale da anni, il cui scopo è trasformare la mente, liberarsi dai condizionamenti, e così via, e poi, parlando di una nuova lingua, chiede: “Com’è la grammatica?”. Ecco: questa persona non ha “davvero” rinnovato la mente, perché questa è ancora legata ai condizionamenti scolastici ed educativi.

La base di un cammino di consapevolezza, quindi, deve secondo me partire dal liberarsi dai condizionamenti che la Scuola e l’Educazione ci hanno inculcato. Compreso quello, forse basilare, che la conoscenza e l’apprendimento siano necessariamente frutto di tensione e fatica. E dovrebbero avere imparato ad assimilare la conoscenza in maniera fluida e naturale, e allo stesso modo dovrebbero assimilare altre lingue. Ad esempio, se sono stati diverse volte in India, ci si aspetta che parlino correntemente Inglese, o addirittura Hindi, semplicemente attraverso l’immersione. Se ciò non accade, che trasformazione è stata fatta?

Da qui, poi, si può partire per le alte vette della ricerca spirituale. Tuttavia, se prima non si toccano i fondamenti del pensiero e dell’elaborazione mentale, come si può pensare di rinnovare la mente, se questa è legata a schemi di pensiero del tutto condizionati?

Pensiamoci, e forse avremo anche un altro modo di percorrere un cammino spirituale. Un modo che parta, per iniziare, da come la mente lavora, e ristrutturi i processi cognitivi, riportandoli a come davvero pensiamo ed elaboriamo naturalmente.

Da lì si parte: tuttavia, se manca questo, mancano le fondamenta. E una cosa costruita senza fondamenta è una casa, magari molto bella… ma costruita sul nulla. E, quindi, non avrà possibilità di rimanere in piedi.

Conclusioni:

Questo viaggio, probabilmente sufficientemente lungo, nel Mondo dell’Apprendimento naturale, è giunto al termine.

Se avrete sperimentato, avrete visto che esiste un altro modo di pensare, di affrontare le cose. E non è un modo arbitrario, ma semplicemente quello che naturalmente voi siete. È il vostro modo di essere naturale.

Non abbiamo, quindi, aggiunto strutture, ma eliminato sovrastrutture, tornando a quello che veramente siamo, a noi stessi.

Per questo credo che, qualsiasi cammino di riscoperta di sé, non possa prescindere da questa “riprogrammazione dei processi cognitivi”: riscoprire una nuova mente, più aperta, non può essere effettuato mantenendo schemi e pensieri condizionati. Deve essere fatto “davvero” essendo nuovi. Altrimenti non c’è alcuna trasformazione. Come si può, infatti, parlare di “mente rinnovata” se questa è ancora legata a schemi di pensiero vecchi e rigidi? Non sarebbe in alcun  modo possibile pensarlo!

La prima cosa su cui voglio farvi porre l’attenzione è il “senza sforzo”. Come abbiamo visto fin dall’inizio, il sapere spesso si manifesta quando lasciamo andare lo sforzo. L’idea che le cose migliori si manifestino con sforzo è una stortura, che blocca il naturale funzionamento della mente.

La mente naturale lavora senza sforzo. Non a caso, come abbiamo visto, Alphonse Cherel poneva sempre, nei suoi lavori, il termine “senza sforzo”. Lo sforzo è quello che blocca la naturalità: di conseguenza, eliminare lo sforzo la porta avanti nel migliore dei modi.

La conoscenza, come visto, avviene nella maggior parte dei casi quando si lascia andare lo sforzo. Lo sforzo, spesso, è quella barriera che impedisce al sapere di penetrare.

La memoria implicita funziona sostanzialmente senza sforzo, e più sforzo si fa, meno l’apprendimento viene assimilato. E l’abbiamo visto molto bene. Chi di voi ha provato a lavorarci su, l’avrà facilmente sperimentato.

L’apprendimento linguistico è uno degli elementi principali in cui lo sforzo ostacola. Ma anche nella memorizzazione implicita è la stessa cosa: questa avviene naturalmente, e poi viene ricostruita in maniera fluida quando serve.

Un altro elemento fondamentale è lasciare andare l’idea di sbagliare. La Scuola ci ha ossessionato con questo aspetto. Occorre eliminare la parola “errore” dal vostro vocabolario. Quello che conta davvero è portare comprensione: la comunicazione è un flusso, non è un insieme di regole, come abbiamo visto. E questo vi deve dire che dovete lasciarvi andare al flusso naturale delle cose. Senza paura di sbagliare.

L’errore, poi, e l’idea di sbagliare, genera sforzo: quello sforzo, appunto, per non sbagliare. E questo ostacola la naturalità. L’idea di sbagliare, quindi, è proprio quella che ostacola il sapere, ed impedisce che questo venga assimilato in modo naturale.

Quando l’idea di sbagliare svanisce, la conoscenza comincia a manifestarsi davvero, e possiamo cominciare ad apprendere per come siamo programmati a farlo.

Da qui ci si collega molto bene all’idea che una Lingua non si impara, ma si “assimila”. Dire che si “impara”, infatti, potrebbe fare pensare che si imparino un insieme di regole. E questa non è la lingua. La Scuola l’ha dimostrato, purtroppo, molto bene: se una lingua è un insieme di regole, non la si parlerà mai. Anche perché la nostra mente non funziona in questo modo, e imparando nel modo indicato ora si “forzano” comportamenti che non sono quelli naturali. Come dicevo, è come decidere di scrivere con i piedi: sarà molto faticoso e farà nascere in qualcuno l’idea di non poter mai scrivere. Quando, poi, sono le mani gli arti preposti per farlo.

Se utilizziamo strutture che non sono preposte per fare una certa cosa, è ovvio che questo darà origine a problemi. Similmente, se utilizziamo meccanismi mentali che non sono quelli preposti all’apprendimento linguistico, è abbastanza ovvio che non riusciremo a trasformare la lingua in qualcosa di fluido, ma sarà un insieme di strutture bloccate e bloccanti.

Pensare che una lingua si assimila, e farlo come vi ho indicato, cambierà la vostra percezione sulla lingua stessa, e renderà tutto più facile e fluido.

Infine, la cosa fondamentale è la spontaneità. Come abbiamo visto, un flusso di conoscenza è spontaneo, naturale, non forzato. La Scuola ha insegnato le forzature, ma la nostra mente funziona in maniera naturale. Cominciamo ad utilizzarla per come funziona.

Concludiamo con un’ idea, e forse una provocazione: chi ha buona memoria, chi ha il dono della scrittura, chi assimila facilmente nuove lingue, come i “Poliglotti Naturali”, ha doti particolari o semplicemente ha imparato ad usare la mente senza bloccarla?

Questo interrogativo merita di essere lasciato risuonare dentro di noi, in modo naturale. Io qualche dubbio l’ho. Personalmente, non ho mai pensato, nell’infanzia e nell’adolescenza, ma anche successivamente, di avere il “dono della scrittura”, e nei temi non prendevo nemmeno grandi voti. E, lo ammetto, nemmeno mi piaceva farli, e quando me li davano da fare per casa li percepivo come un “peso”, non certo come un piacere. Poi, ho scoperto che ci si poteva “lasciare andare”, “lasciandosi pensare”, come sovente dico, invece che stando a riflettere più di tanto, ma lasciando che i pensieri emergessero con naturalità. E ho scritto numerosi libri. L’ho fatto come volevo io, senza che qualcuno mi avesse imposto paletti e vincoli: ma l’ho fatto. E nemmeno solo in Italiano.

E pensate che, come dicevo nella Seconda Parte di questo lavoro, la mia professoressa di inglese delle Scuole Medie mi accusava di essere troppo “stringato”! Quando, anche in inglese, al limite mi si potrebbe dire che scrivo tantissimo! Questo dice quanto la Scuola “confonda le idee”, facendo credere che non si abbiano certe doti che, invece, solo in noi.

Forse, quindi, i cosiddetti “Poliglotti Naturali, chi impara molte cose, chi scrive fiumi di cose, semplicemente ha imparato a “lasciarsi andare”.

In fondo, per fare una battuta, ogni volta che la Scuola assumeva l’iniziativa di fare qualcosa “per sviluppare amore per quella cosa nei ragazzi”, spesso l’effetto era esattamente l’opposto. Ricordo quando, alla Scuola Media, erano state portate avanti, nelle Classi, delle iniziative per “sviluppare nei ragazzi l’amore per la lettura”: l’effetto è stato, almeno nel mio caso, esattamente il contrario: detestarla. Per sviluppare amore verso le cose occorrono schemi mentali rinnovati, e naturali: non di certo schemi innaturali e forzati. Come, purtroppo, accade nella Scuola, almeno quella Italiana.

Tornando al discorso precedente, qualcuno, come ho detto, pensa di essere “negato per le lingue”, di “non sapere scrivere”, di “non sapere parlare”, solo perché non si lascia andare, e  pone sovrastrutture.

Come dicevo, io stesso ho rischiato di essere rimandato in inglese, all’inizio delle scuole superiori.

E questo dice come la Scuola “bloccante” faccia perdere l’idea che, magari, determinate doti sono in voi. E che dire di quel ragazzo, menzionato nella Seconda Parte di questo lavoro, che in inglese aveva sempre 4, e poi è andato a laurearsi in un’Università in lingua Inglese in Cina, tornando che parlava anche Cinese? Ora questo ragazzo parla “almeno” italiano, inglese, arabo e cinese… e forse qualche lingua in più. Eppure, se si fosse fidato della Scuola, avrebbe pensato di essere “negato per le lingue”, mentre già ne parlava, come dicevo nella Seconda Parte, due correntemente, Italiano e Arabo, leggendo anche in due alfabeti tra di loro molto diversi.

Queste cose fanno davvero riflettere, direi!

Anch’io, ad esempio, non credevo di avere il dono dell’improvvisazione musicale. Poi ho scoperto, grazie ad un amico, che potevo “lasciarmi andare” alla Musica, e venivano delle cose anche belle. Ne ho riempito un Canale su Youtube.

Forse, tutto questo, sarà una riscoperta anche per voi.

Così, spero che per voi inizi un nuovo viaggio. Il viaggio più bello: alla riscoperta di voi stessi, e di quello che davvero potete fare.

Questo viaggio è appena iniziato. Io vi ho dato delle idee: altre ne troverete voi. Naturalmente, se lo vorrete. E sarà bellissimo, in ogni istante, riscoprirvi per quello che davvero siete. E scoprire che avere davvero, in voi, un Universo, che merita di essere riscoperto: perché è vostro da sempre, ed è lì che attende che ne riprendiate possesso.

Buona continuazione, è proprio il caso di dirlo!

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