SullaStradaDelVino si inoltra nel Consorzio di Tutela del Gavi

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Rubrica a cura della giornalista Susanna Schivardi e del sommelier Massimo Casali

Tra Francavilla Bisio e Tassarolo, in Piemonte proprio sotto Alessandria dove già si sente l’odore del mare ligure, un piccolo lotto di terreno, all’oggi ben sette ettari, condotti da Diego Carrea che ha creduto in un sogno chiamato Il Molinetto. Azienda vitivinicola ereditata dal padre e dallo zio, una passione che non ci mette troppo tempo a diventare concretezza.

La storia di Diego

Figlio di un contadino, Diego ha avuto la fortuna di andare bene a scuola fin dalle medie, anche se alla domanda “che cosa vuoi fare da grande?”, rispondeva di voler aiutare il padre in vigna, i professori gli consigliavano di continuare gli studi. E così è stato.

Si trasferisce prima a Genova e poi a Milano e lì conduce la sua carriera, studiando ingegneria e diventando uno dei consulenti di punta di una nota società italiana. Macchina e cellulare aziendale, pc perennemente acceso sulle email, connessione costante ad un lavoro che lo assorbe e che lo sfianca, fino a farlo diventare ostaggio della sua stessa ansia da prestazione. Orari impossibili, sveglie notturne in preda alle preoccupazioni di non arrivare mai ad un punto, nella consapevolezza di promettere cose che all’ottanta percento non verranno esaudite. Questa è la felicità? Diego tante volte se lo chiedeva, sentendo dentro di sé una voce che gli suggeriva il contrario.

Nonostante il raggiungimento di tutti gli status symbol desiderati da qualsiasi giovane rampante in carriera, Diego si sente stretto, e ad un certo punto, dopo una vita di corsa, nel 2008, il padre gli pone un quesito esistenziale. Acquistare un nuovo terreno e continuare l’attività o vendere l’azienda e liberi tutti. Diego non esita, quasi spinto da una forza estrema, dice di sì al padre, di comprare il terreno e continuare la vecchia tradizione di famiglia. Da lì a dove è oggi è un continuo sforzo per sentirsi all’altezza e per migliorarsi, utilizzando e re-intrepretando nella nuova attività tutte le competenze maturate negli anni, ma tornando appare ancora più spaesato, eppure felice. Si è perso ovviamente tutta quella esperienza pluriennale del padre e dello zio, che hanno passato in vigna la loro vita, e a quei tempi in maniera totalizzante, senza connessioni o mail a cui rispondere. Lì si stava per lavorare, dove la fatica non aveva margine, senza interruzioni e quando si tornava a casa era perché davvero era terminata la giornata. Oggi Diego è in corsa per riacquisire almeno una parte di quella memoria preziosa, che risale a quando da più giovane andava ad aiutare padre e zio nei fine settimana, ma in quei momenti non era la stessa cosa, perché non aveva la responsabilità del lavoro, e quindi per lui era ancora una sorta di passatempo piacevole. Eppure quella voce che gli frullava in testa da sempre ha avuto ragione, da più di dieci anni ormai sul mercato con il suo Cortese in purezza, titolare di un’azienda che è parte del prestigioso Consorzio Tutela del Gavi, e socia della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, appare come un uomo semplice e tormentato da ovvie paure, inseguito dai dubbi legati alla vendemmia, agli errori in cantina, a quelle domande fondamentali a cui padre e zio, con la loro praticità, avrebbero risposto senza nemmeno esitare. Oggi Diego, reduce di studi estremamente tecnici e di una carriera all’insegna del planning, sta dietro alle scadenze ma quando per giorni non piove smentendo le previsioni, ha imparato ad affidarsi all’esperienza maturata di vendemmia in vendemmia che consente di valutare anche le situazioni più complicate.

Le origini

Il Molinetto oggi consiste in quello che era un terreno iniziale di appena un ettaro, nel lontano 1990, preso dal padre e dallo zio, poi ingrandito a sette ettari fino a quando nel 2012 viene suddiviso tra Diego e le due sorelle. Di nuovo ricomposto, si arricchisce anche dell’ultimo brano acquistato dal padre nel 2008, che andrà a comporre fra almeno un paio di anni, il totale di otto ettari, spartito ideale per un vino bianco d’eccellenza. La cantina oggi   ospita anche un altro piccolo produttore della zona di Molare, Lino Luvini titolare dell’azienda Ghera, che producendo bacca rossa, Dolcetto, suona in duetto con il nostro Diego, andando di pari passo in un business che per ora ha tutti i presupposti per vincere sul mercato.

La produzione

Tanta uva prodotta che Diego, ci racconta, vende anche ad altre cantine, per lasciarne una parte e produrre dei vini calcolati al millimetro. A partire da un clima che richiede attenta interpretazione, visto che da qualche anno ormai la poca piovosità di agosto gioca brutti scherzi. Quando la vigna va in stallo e per il troppo caldo la pianta lavora in fascia di difesa, allora sorgono i veri problemi. Quando a settembre ti aspetti qualche pioggia e non arriva, allora cominci davvero a disperare.

Quella di Diego è una corsa contro il tempo, in attesa di una maturazione dignitosa. Come lui, tanti produttori ormai si affannano a rincorrere la natura dalle improvvise impennate. I suoi sforzi si disperdono tra la vigna e le fatture elettroniche, quando il suo cuore invece è tutto tra i filari, dove vorrebbe soffermarsi e starci davvero con la testa. Oggi, tuttavia, si sente più robusto di un’esperienza che si sta allineando alle sue aspettative. Nell’ottica di costruire un’identità ad un’azienda piccola e solida, per dare sostanza ai concetti, come ci spiega con grande enfasi. All’attivo belle esportazioni all’estero gli regalano lustro e molti premi riconosciuti da enti di eccellenza gli regalano quella forza che sul campo vinicolo è necessaria per andare avanti con le scommesse. La grande cura nella produzione, basti pensare alle 3000 bottiglie del Relys, o alle 263 dell’Amphora! – ancora effettivamente una realtà di nicchia non troppo pubblicizzata, lo rendono un maestro nel valorizzare il proprio terroir. Diego è molto fiero del vitigno Cortese, un vitigno abbastanza facile che si comporta bene sia in vigna che durante la vendemmia. Le fermentazioni e gli affinamenti lo vedono protagonista di varie declinazioni che permettono di degustarlo in diverse sfumature come andremo a fare oggi in compagnia proprio del produttore.

DEGUSTAZIONE

Il primo vino che degustiamo è il Gavi classico, 2020, lavorato come si faceva negli anni ‘70 con metodo tradizionale in acciaio inox, e imbottigliato in una bella bordolese, offre alla visiva un bel colore giallo paglierino brillante, per poi accostarsi al naso con una traccia autentica del terroir argilloso di terra rossa da cui proviene. Affinamento in acciaio inox al 100%, porta al naso una ricca nota di mandorla fresca, venata da linee di frutta secca, e ad un tratto una punta di miele che si affianca a dei fiori bianchi tipo glicine, per vestirsi di una grande mineralità e freschezza, arrivando alla bocca con un’intensità sorprendente, punte piacevolissime di frutto acerbo, oseremmo quasi un lime, della mela verde per incorniciare la definitivamente buona persistenza. Vino a tutto pasto, da solo o per aperitivi, è ottimo accompagnamento di antipasti di pesce crudo e ostriche.

Un vino che, come dice Diego ad un anno di bottiglia, rende alla perfezione la sua freschezza e mineralità per una facile beva, mentre dopo almeno due anni diventa un vino più profondo e profumato, sigla perfetta per raccontare il terroir da cui proviene, relegandolo definitivamente a vino da pasto.

Il secondo che apriamo è il Relys 2020, imbottigliato nell’elegante borgognotta, Cortese in purezza ma che riceve un bell’affinamento per un terzo in barrique di rovere francese di secondo o terzo passaggio, affinché il legno sia lieve, e due terzi in acciaio. Il blend avviene dopo 6/8 mesi e dopo altri sei mesi si imbottiglia. Il Relys giovane ha un tipo di carattere, però come suggerisce Diego, dopo 2 o 3 anni di bottiglia arriva al suo top, grazie ad una buona longevità.

Al naso siamo immersi in frutta secca, che varia da pistacchio a nocciola, per arrivare al minerale quasi marnoso, una nota gessosa data dal terroir, mentre sul finale si percepisce un biancospino che ingentilisce. 

Alla bocca sopraggiunge questa ottima mineralità, la barrique regala a questo vino un terziario elegante, quindi con evoluzione più marcata del precedente il Relys 2020 gode di un’ottima consistenza, più corposo, più ampio, dimostra un gran carattere.

Da abbinare a piatti specifici, come risotto alla pescatora, oppure un pescato elaborato, un trancio di pesce spada alla piastra con foglia di rosmarino appena strappato dalla pianta.

Bottiglia non a tutto pasto, ma da abbinare ad una cucina ricercata.

Il terzo vino, Amphora 2020, è in realtà un prodotto di nicchia, si presenta in una champagne cuvée, tipica del metodo classico, qui utilizzata per il vino in anfora, nota originale dell’azienda che Diego ci va a raccontare. La chiusura con la gommalacca è un semplice escamotage per chiudere la bottiglia che in altro contesto avrebbe avuto la classica capsula. Il colore è di un giallo paglierino intenso. L’affinamento del vino di 18 mesi in anfora, dopo una fermentazione “classica” della base di Cortese come avviene già nel Gavi 2020, risulta in una piacevole ossidazione, che cede il posto a profumi di miele di castagno, senonché note di bergamotto, e a qualche minuto di distanza, un accordo dolce di fichi secchi.

Susanna Schivardi e Massimo Casali

In bocca si stende quasi cremoso, perché l’anfora cede la freschezza, risulta perfettamente equilibrato, dato anche dal tipo di vitigno, il Cortese, che si comporta bene sia in vigna che alla vendemmia. Un bouquet di erbe come la salvia con del balsamico lo completano e lo rendono un vino eccellente da abbinare ad un risotto allo zafferano con tappeto di scaglie di tartufo.

Ci congediamo con piacere da Diego, un “ragazzo” di 50 anni che con sincerità e trasparenza ci ha raccontato la sua storia, un romanzo di formazione che lo ha visto protagonista di vicende alterne e allontanamenti sofferti, per poi ricondurlo alle sue amate origini. 

***A cura di Susanna Schivardi per l’intervista, foto originali dell’azienda – ringraziamo Massimo Casali per la degustazione

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici e non ha mai ricevuto finanziamenti privati fino al Marzo del 2023.

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