Ho baciato una No Greenpass (…e sono ancora vivo)

Ho baciato una No Greenpass (…e sono ancora vivo)

Di Mario Michele Pascale

Una manifestazione no green pass vista da vicino

Ebbene si. Il 6 Novembre sono andato ad una manifestazione dei no green pass (attenzione: no green pass non vuol dire no vax). Ho deciso di giocare in casa, a Civitavecchia. Saranno state, nel momento culminate, un centinaio di persone. Non c’erano mostri a tre teste, né skinheads, né gente di Forza Nuova, né ultrà venuti da Roma.

Ho trovato uomini e donne sui cinquanta/sessanta, qualche giovane padre e madre di famiglia sui trent’anni, due o tre gestori di locali pubblici dall’aria molto depressa.

Il grosso della presenza, attestato ai margini dell’area verde, era costituito dai frequentatori abituali del parco, vieppiù bambini e adolescenti, e dalle forze di polizia, dall’aria molto tranquilla e rilassata.

Camminando in prossimità di polizia e carabinieri si potevano intuire i loro discorsi. Si trattava, perlopiù, della vita quotidiana: i figli, le bollette, l’auto dal meccanico.

Nessuno aveva paura per l’evento.

San Francesco e il lebbroso

E lì ho incontrato una mia conoscenza. Una donna molto bella. Ci siamo salutati e baciati. Ovviamente ho tolto la mascherina (eravamo all’aperto) e si è trattato di un castissimo duplice bacio sulla guancia. Ho baciato una no green pass e sono sopravvissuto. Più o meno come San Francesco che bacia il lebbroso e la fa franca.

Perché chi protesta contro l’obbligo vaccinale è il lebbroso dei nostri giorni.

LA CRONACA

Mi sono appostato tra la piccola folla. Metà dei partecipanti sapevano chi ero. Sapevano che rappresentavo i due mostri del “sistema”. Da un lato la politica riformista (faccio coming out, sono socialista) e dall’altro ben sapevano che mi occupo di comunicazione e, pur non essendo iscritto all’ordine dei giornalisti, ho una trasmissione radiofonica settimanale che fa approfondimento. Rappresentavo l’odiata politica e l’odiatissima informazione. Pur conoscendomi nessuno mi ha molestato, anzi la gente mi salutava, chi per dovere, chi per cortesia, qualcuno con affetto.

Dalla mia posizione ho ascoltato i discorsi dei presenti. Nessuno tirava in ballo le cospirazioni globali, né l’industria farmaceutica, né i rettiliani. Nessuno parlava di Auschwitz. Gli argomenti di conversazione preferiti erano i cani, i nipoti, il turno della raccolta differenziata.

Iniziano gli interventi. Guadagno la prima fila. L’apertura è dedicata al ruolo dell’informazione. Non vengono nominati i “giornalisti”. Sotto accusa, con nomi e cognomi fatti, i maggiori editori di periodici e tv nazionali. A questo è seguita la paura maggiore: quello che avrebbe potuto fare un vaccino, privo di dati sul medio e lungo periodo, nell’organismo di un bambino di sei, sette, otto anni. Ma se uno non si preoccupa dei propri figli, che genitore è?

Dopo questa introduzione “politica”, si sono avvicendati gli “esperti”, che hanno dato i loro dati e la loro verità. Certo, come in ogni movimento che si rispetti (anche i girotondi erano così) ogni tanto volano le ovvietà e le esagerazioni, come “le mani sporche di sangue” del sistema, ma nel complesso i ragionamenti sono stati stati pacati ed ordinati.

VERITÀ E DEMOCRAZIA

Come in ogni esposizione della cosiddetta “verità” viene da chiedersi, con Ponzio Pilato: “quid est veritas?”, che cos’è la verità? La verità è un concetto estremamente relativo, non è mai assoluta, ma è solo di parte. Ognuno ha la sua verità. La democrazia esiste proprio per far convivere le diverse verità e comporle nell’interesse collettivo. Cardine dell’ordinamento democratico è il rispetto delle posizioni altrui. Indipendentemente dal loro grado di certezza. Del resto la nostra società rispetta molte posizioni con scarso se non nullo fondamento scientifico: onoriamo e rispettiamo coloro i quali credono che una donna sia rimasta vergine prima, durante e dopo il parto e che un uomo sia morto e tornato tra i vivi dopo tre giorni. Molti, se non la maggioranza degli occidentali, pone questa, che è pura credenza, se non opinione, alla base della civiltà. E non è solo un problema numerico. Almeno il tre per cento dell’umanità, quindi parliamo di una minoranza, crede nell’esistenza di un signore vestito di rosso che, volando in una slitta trainata da renne, consegna, nel medesimo giorno, regali a tutti i bambini buoni del globo. Noi rispettiamo questa visione del mondo. Chi di voi ha il coraggio di spiegare ad un bambino di tre anni che Babbo Natale non esiste? Il rispetto delle credenze, in una democrazia che funziona, non è quindi un problema di forza, ma di cittadinanza che non può essere negata se non in circostanze del tutto eccezionali. In Italia abbiamo applicato questa regola, tollerando la presenza di partiti che si richiamavano, esplicitamente, all’esperienza fascista. Anche se ciò era sgradito alla maggioranza degli italiani, espungere quella gente avrebbe voluto dire far tremare dalle basi l’intero assetto democratico. I nostri saggi predecessori della prima repubblica hanno preferito mantenere in casa un ospite chiassoso e poco gradito piuttosto che picconare le fondamenta facendo crollare tutto l’edificio.

LA DEMOCRAZIA MALATA

Il problema si pone quando le democrazie si ammalano. Esse cadono in preda della malattia quando si adagiano, più o meno come le persone che smettono di mangiare sano, fumano, non fanno attività fisica. Traslato nel linguaggio della politica esse si ammalano quando cessano le visioni del mondo, spariscono le idee, tutto si riduce ad amministrazione e occupazione delle poltrone. Quando alla politica, che è un’arte nobile, si sostituisce la vendita pura e semplice.

Quando l’homo faber viene destituito e sostituito dall’agente di commercio.

Oggi siamo al capezzale della democrazia. Ma non per la faccenda del green pass. Essa è un sintomo, non la causa. La causa va identificata nella crisi degli ingranaggi della macchina.

LA REGRESSIONE

Proprio in questi giorni è stata lanciata dal leghista Giorgetti la proposta di Mario Draghi sia come Presidente della Repubblica che, contemporaneamente, come presidente del Consiglio. Ha detto l’esponente della Lega: “Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto”.

Cosa che cozza con la nostra Costituzione, che è la legge suprema dello Stato.

Quel che fa rabbrividire non è la proposta (gli stupidi sono dovunque, chi “ce stà a provà” anche) ma il silenzio delle persone oneste.

Persino chi sta all’opposizione del governo Draghi ha mantenuto una posizione morbida, confidando nel “buonsenso” del Premier.

L’Italia sta regredendo, lentamente ma con allarmante costanza, attraverso il culto del “fare”, “dell’uomo solo al comando”, del “buon governo”, verso derive pre democratiche.

La crisi maggiore è quella dei partiti che dovrebbero porre un argine a questo fenomeno. Se non vogliono farlo per gli italiani, almeno dovrebbero farlo per loro stessi, giacché gli stessi partiti possono esistere solo all’interno di un sistema democratico. In un sistema pre democratico ci sono solo cortigiani che si azzannano l’un l’altro e che vivono del capriccio del re, con la testa perennemente poggiata sul ceppo ed il boia con la scure pronta pronto ad intervenire.

QUANDO I CINQUE STELLE AVVELENARONO IL POZZO

Tutte le democrazie malate hanno bisogno di indicare un nemico. La nostra democrazia ha iniziato questo processo. La disgregazione principia con il movimento cinque stelle che liquidava la diversità con la formula: “sei moralmente indegno”, avendo come maestra l’epopea di mani pulite. L’indegnità morale condannava i soggetti colpiti fuori dalla sfera del politico, oltre che dell’umano. Relegava le opinioni diverse al rango di indecenza. Lì la nostra democrazia viene lacerata. L’addomesticamento dei cinque stelle, trasformatisi da forza “antisistema” in partito di “lotta e di governo” fino a diventare solo partito di governo, non è riuscita a mutare il paradigma di base. L’odio contro la visione del mondo altrui ha resistito come modalità operativa corrente della politica.

Oggi, ad essere odiati, sono i no green pass, i lebbrosi del nostro tempo.

Su di loro si narrano storie apocalittiche, in cui vengono descritti come creature fantastiche che sputano lampi dal buco del culo mentre si abbeverano sul ciglio della terra piatta.

Ho toccato con mano, sono stato in mezzo a loro. Ho trovato uomini e donne che puoi trovare anche al supermercato o all’uscita di scuola, mentre aspettano i bambini.

Un eretico bruciato sul rogo

Attenzione. Io non sto dicendo che la loro sia “la posizione giusta”. Chi sta scrivendo si è vaccinato due volte con Astrazeneca ed utilizza il green pass. Sto solo dicendo che un gruppo di persone, pacificamente, all’interno della legge, ha il pieno diritto ad esprimere le proprie idee, senza essere molestato da nessuno. Contraddetto all’interno della normale dialettica politica, certo. Ma non può essere demonizzato.

Altrimenti picconiamo le fondamenta della democrazia o, almeno, ciò che ne è rimasto.

Questo con un’aggiunta. Faccio mio quanto scritto dal direttore editoriale di Mondoperaio, Roberto Sajeva, nell’ultimo numero della storica rivista della sinistra italiana: “occorre un pensiero socialista che sia in grado di dialogare con l’eresia”.

E questa necessità è ancora più urgente in un mondo in cui imperversano i frati domenicani pronti ad appiccare il fuoco alla pira degli eretici.

***In accordo con l’autore pubblichiamo questo suo articolo. L’articolo originale si trova accedendo da questo link: Area Pascale

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