Cat Calling: un giorno potreste rimpiangere i tempi in cui…

Cat Calling: un giorno potreste rimpiangere i tempi in cui…

Di Anna Izzo

Da tempo immemorabile convivo “abbastanza pacificamente” con i gatti. Tutti rigorosamente campagnoli, ruspanti, non di razza e, soprattutto, non miei. Già, perché quando si cresce in un paesino sui colli emiliani, dove puntualmente fai ritorno ogni estate, è difficile spiegare a un gatto che quella che credeva essere una propaggine pure risibile del suo territorio è, in realtà, la casa natale di tua madre, quindi va a finire che tutti i mici del circondario si stranirebbero qualora venisse loro vietato di dormire nel tuo letto (soli) o di aprire in totale autonomia il frigorifero, servendosi a piacimento.

Ogni tanto anche la mia famiglia avanza qualcosa (va bene mangiare, ma…), quindi che si fa? Si prepara il piattino, lo si porta all’aperto e si chiamano i gatti, essenzialmente col classico verso “tz tz tz tz” e mettendosi controvento: arrivano che è un piacere, in massa. Adesso vengo a sapere che per indicare gli ormai obsoleti e anche abbastanza folkloristici complimenti alle ragazze piacenti, accompagnati da fischi e da apprezzamenti quali “a bbonaaa!” “anvedi che robba, oh!” “Ammazza! E che sei, a fataaaa?!” si utilizza il termine “catcalling”. Innanzitutto chiedo scusa agli amici di Roma, ma come “catcallano” loro nessuno mai (alcuni conoscenti palermitani mi hanno fatto presente che, nella splendida splendente Panormus, furoreggia un ambiguo “fragolaaaa!”, ma appunto perché, a parte la golosità del frutto stesso, almeno a me non rievoca nulla di attinente al contesto, lascio scettro e corona all’insuperabile e immarcescibile “broccolamento” capitolino).

Ora: se facessi altrettanto coi suddetti mici, verrei presa per pazza, e non solo da loro, nonché bellamente ignorata, idem come sopra neurodeliri esclusa, quindi o mi fate vedere un gatto che vi viene incontro dopo un “a bonooo” col fischio, o cambiate inglesismo: in Italia non c’è trippa per gatti, per restare in tema.

Aurora Ramazzotti, ragazza per cui nutro davvero una fortissima simpatia, ha lamentato a social network unificati di non sopportare più gli apprezzamenti da cui viene travolta ogni volta che va a fare jogging in short e maglietta. Trattenendo a stento un’altra espressione romanesca, altrettanto eloquente, mi limito a restare basita e a chiedere: ma pensare alle “diversamente avvenenti” come la sottoscritta pare brutto? No, perché, proprio negli anni più dolenti, quelli che ormai anche la giovane rampolla di Eros e Michelle ha superato da qualche tempo, esistono quelle che, con pietosa compassione, vengono definite dagli adulti le “bruttine”. E, dai coetanei, “le cesse, i mostri, lo schifo umano, le figlie di Fantozzi, le mongoloidi (perché l’adolescente medio non è solo infame, ma pure ignorante e impermeabile a qualsiasi norma basilare di civile convivenza), le balene, quelle che fanno venire voglia di vomitare o di defecare (o entrambe le cose assieme)”. Oppure che non vengono definite affatto: viene pronunciato semplicemente il loro nome in tono dispregiativo e con voce alterata dal ribrezzo.

Aurora? Vuoi fare cambio? E lo chiedo anche a tutte coloro che si sono unite al suo appello in modo viscerale, ammettendo di sentirsi “violate nel loro corpo” da fischi e da complimenti spesso un po’ grezzi. Numero uno: fate tutte schifo, è vero, ma per quanto siete belle, quindi sapete com’è…; in secondo luogo avete la minima idea di cosa significhi essere realmente “violate”? Bene: impariamo a utilizzare il termine giusto nel giusto contesto, perché un apprezzamento non sarà mai paragonabile a un rapporto sessuale non consenziente.

Il mio è il parere di una che rosica forte, lo scrivo a chiare lettere: di una ex ragazza che, anni e anni fa, per un fischio altro che l’ultima Marlboro, citando il compianto Pino Mango: una stecca intera avrebbe dato.

Ora, che sono cresciut(ella) e ormai quel che è stato è stato, mi viene da pensare che, soprattutto con certi chiari di luna, i problemi dei rapporti fra uomo e donna siano di tutt’altra natura: ci ammazzano come mosche per risibili motivi (ammesso e non concesso che esistano motivi validi per uccidere chicchessia), guadagniamo mediamente di meno a parità di competenze e di ore lavorative (e lavorate), alcune di noi ancora si accaniscono a imputare a improbabili cadute dalle scale i lividi lasciati dalle botte quotidiane e, in alcuni contesti sociali degradati, qualora qualcuna di noi dovesse avere la sventura di essere mentalmente labile, sarebbe usata a mo’ di fattrice si spera da un unico individuo. Davvero il catcalling è violenza? Certo, lo è: qualora fosse accompagnato da gesti osceni, peggio ancora se reiterati tanto da prefigurarsi come stalking. Certo che lo è: qualora il soggetto complimentoso si avvicinasse troppo e posasse la sua tenera manina anche di striscio sui nostri corpi con intenzioni malevole (per chi non ha familiarità con l’autodifesa, consiglio di gridare al fuoco, al fuoco: attira sempre l’attenzione e un altro esemplare più testosteronico e meno provolone pronto a menare le mani si trova sempre, in giro. Anche in zona rossa).

E poi, ma questa è una mia curiosità personale: come fate a fare jogging in short e canotte sintetiche iperattillate? Ma non sudate in maniera catastrofica? Non “vi squarano le cosce”, come insegnatomi sempre dai suddetti conoscenti palermitani? Ma quando si faceva jogging ai miei tempi (si chiamava ancora “footing”: Pleistocene pieno, insomma) calzoncini della tuta in cotone e T shirt larga e guai se solo avesse avuto un solo filo di poliestere! E non perché eravamo meno appariscenti o più fissate (o, meglio, non solo per quello), ma perché ci veniva così caldeggiato dagli insegnanti di educazione fisica, i cui dettami restavano nei meandri della memoria a lungo termine fino a fungere da invisibili personal trainer. Poi, ci mancherebbe: se a voi piace così, liberissime di farlo e nessuno “si deve nemmeno vagamente arrogare il diritto di ventilare l’ipotesi di pensare che ve l’andiate a cercare”, sia chiaro nella sottigliezza dell’immagine.

Ma alla lunga, e qui ne sono quasi certa, a darvi fastidio saranno le eruzioni cutanee e gli arrossamenti da sfregamento, spesso con indumenti in materiale compatibile col ph della pelle di un bisonte, non con l’ormai strafamoso 5.5 umano. E una zufolatina fra i denti da parte di chi non ha altro di meglio da fare verrà prontamente fatta cadere nel dimenticatoio: date retta a una scema che ha sempre puntato sulla simpatia, in assenza di altre doti, ma che vanta una pelle che non ha mai conosciuto pomate alla calendula o affini.

Foto di copertina: credit Popolis

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici e non ha mai ricevuto finanziamenti privati fino al Marzo del 2023.

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