Controvento

Controvento

Di Claudio Rao

Giornalismo, per me, è (anche) dare voce alla maggioranza silenziosa che non viene rappresentata, o viene zittita dal pensiero dominante. Un “pensiero unico” veicolato e amplificato dai media (giornali, radio, televisioni) che si nutrono di denaro pubblico per spingerci tutti in un’unica direzione, come i tonni! Io che dentro di me mi sento un pò salmone, sogno di creare una rubrica che battezzerei volentieri “Controcorrente” in ricordo dei brillanti e indovinatissimi trafiletti a firma dell’immenso Indro Montanelli. Rubrica in cui rileggere la realtà con la stessa semplicità delle mie conversazioni con amici e conoscenti; persone che esprimono, ancorchè in maniera dialettica e non di rado contraddittoria, le opinioni della gente comune. Dire a voce alta ciò che tutti pensano sottovoce, insomma. L’espressione è goffamente tradotta dal francese, lingua nella quale mi trovo a pensare la metà del tempo.

La Francia sembra lontana, eppure è lì, sui suoi Media, che ho sentito per la prima volta parole ed espressioni che ora fanno capolino anche in Italia. “Sovranisti e populisti”, ad esempio. Sciorinati con disprezzo e disinvoltura, come se si trattasse di volgarità, di parole che sporcano, di concetti che etichettano. Sinonimi di “fascisti, razzisti” e quant’altro insomma. Quasi a sollecitare, quando non a incoraggiare una discriminazione di chi ne fa oggetto. Discriminazione negativa, ben inteso. Termini usati dall’intellighenzia dei benpensanti: mondialisti e populicidi.

Pensare controvento, pubblicare controcorrente. Dare voce al dissenso. Ragionato, maturato, sincero. Di mente, e non viscerale. Senza caricaturizzare nessuno. Senza discriminare. Evitando il tifo, l’ideologia. Già perchè in Italia prevale la tendenza a “fare il tifo per”. Se la propria parte politica o la propria corrente di pensiero esprime un’idea assurda, totalmente priva di buon senso e quand’anche dannosa, allora la si sottoscrive, la si difende a spada tratta. Visceralmente, appunto. Ma se a proporre un’idea è la parte avversa, allora “fuoco alle polveri!”: ci si industria per trovarne pecche, difetti, mancanze. Insomma, per dimostrarne l’assurdità. E poco importa che sia buona o cattiva. O magari geniale. Viene dalla parte avversa, ergo “deve” essere sbagliata!

Quello che auspicherei è il non fare propaganda se non per il buon senso e la ragione. In modo non ideologico. Troppo cartesiano? Non credo. Penso che i nostri connazionali abbiano bisogno di uscire dall’ottica della sudditanza per entrare nell’era della cittadinanza attiva: di pensiero, di idee. D’azione.

Perchè i vari Travaglio, Feltri, Gabanelli – per citarne solo alcuni – riscuotono un certo successo? Perchè, tra l’altro, palesano chiaramente idee, fatti, opinioni. Senza troppi peli sulla lingua. Senza quella precauzionalità che ce li farebbe apparire sospetti. Esprimendo chiaramente ciò che hanno da dire. Senza cercare per forza il consenso. Assumendo il rischio di urtare il pensiero unico (che non rispecchia sempre – attenzione! – l’opinione comune).

Una cosa sono i politici che, si sà, devono ricercare il beneplacito dell’opinione (se non di tutti, almeno della loro frangia elettorale e affini). Altra cosa sono – o dovrebbero essere – i Media. Nella classifica 2020 realizzata da “Reporter Without Borders” in merito alla libertà di stampa nel mondo, l’Italia occupa solo il 41° posto, dopo il Burkina-Faso (38°), il Botswana (39°) e la Repubblica Ceca (40°). Meglio di noi, i vicini europei di Regno Unito (35°), Francia (34°) e Spagna (29°). Nel plotone di testa la Svizzera (8°), il Portogallo (10°), Germania (11°), e Belgio (12°). Gli apripista, sul podio d’onore, sono Norvegia, Finlandia e Danimarca.

Questa banale constatazione ci fa riflettere su come non soltanto ci siano pressioni per un certo orientamento dell’opinione pubblica, ma – essendo l’Italia una democrazia – ci sia d’altra parte, complementariamente oserei dire,  un’autocensura che impedisce la libera espressione di idee ed opinioni. E insieme sottolineano l’imperiosa necessità di mantenere viva la pluralità di pensiero attraverso il coraggioso impegno di coloro che, come Gli Scomunicati, si ostinano a credere nei valori e nella feconda creatività del libero pensiero.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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