Itinerari siciliani – un tuffo nel Marsala

Itinerari siciliani – un tuffo nel Marsala

Rubrica a cura di Susanna Schivardi e Massimo Casali

Ed eccoci al nostro terzo incontro! Ebbene si, in questo viaggio virtuale attraverso l’Italia abbiamo continuato a scoprire i tesori di Sicilia, ed oggi vorremmo presentarvi Ercole Alagna, dell’azienda Alagna Giuseppe fu Antonio, di Marsala in provincia di Trapani. Perché questo nome così ridondante? Il motivo ce lo spiega il diretto interessato. “La nostra famiglia ha una lunga tradizione nel mondo del vino – comincia a raccontare Ercole Alagna in collegamento con noi da Marsala – che parte dal nonno Giuseppe, classe 1895, già allora un piccolo proprietario, poi subentra mio padre Antonio che nel 1946 si diploma alla scuola enologica di Alba, una delle più prestigiose di Europa”. Alla fine di quell’anno insieme fondano l’azienda, “un magazzino di 200 metri quadri, poi iscritta a Trapani nel 1947, denominata Alagna Giuseppe fu Antonio perché già esisteva una ditta col nome di Giuseppe Alagna”. Oggi l’azienda comprende settanta ettari, di cui venti della moglie di Ercole. La moglie insegna ed è molto legata alle tradizioni, lei che è figlia di un vero agricoltore. Per Ercole, classe ’56, il percorso di formazione è fatto di studi classici e poi tecnici, diploma e laurea in Enologia, che si sommano alla laurea in Agraria per arricchire definitivamente un bagaglio culturale già ampio. Nonostante sia in pensione, Ercole insegna ancora oggi, Tecnologia dei vini liquorosi e dolci, a Udine, per un corso intensivo di pochi giorni l’anno “dedicato a pochi studenti preparatissimi e masochisti” – dice sorridendo, perché si ritiene un professore severo –  e a Marsala, distaccamento di Palermo, dove Ercole è impegnato tutto l’anno. La sua parlantina lo precede, gli piace raccontare e tra un percorso e un altro cita i latini e i contemporanei, in un arcobaleno di sapere che spazia in ogni campo.

“La storia di Marsala – racconta fiero delle sue origini, lilibetane da sei generazioni – comincia da Cicerone, che la chiamava Lilybeum ossia città rivolta verso la Libia, sino al dopoguerra quando in questa zona c’erano già 226 stabilimenti vinicoli per una popolazione di 50 mila abitanti, il che significa che chiaramente tutto il territorio era tappezzato di vigneti e stabilimenti e ovunque la musica era quella dei bottai che ribattevano le botti. Infatti fino agli anni ’50 si usavano solo botti di legno”. Uno dei primi ordini di vino Marsala risale proprio a Horazio Nelson, che venne in affari con il commerciante Woodhouse, scopritore del vino di Marsala, molto simile allo sherry e che lui aveva cominciato a trasportare nelle botti, con quel 2% di alcol che lo avrebbe mantenuto intatto. Nelson allora chiese che venisse fornita la flotta di almeno 500 pipe l’anno, durante le navigazioni nel Mediterraneo e così iniziò, grazie agli inglesi, la fortuna del vino Marsala.

“Oggi lo stabilimento raccoglie 60 mila ettolitri, non possono essere mai tutti interamente riempiti, ma mediamente due terzi ci sono sempre a disposizione. “Dopo gli anni ’50, dalle botti siamo passati a vini sfusi in autocisterne e adesso ci siamo buttati di più su imbottigliamento e ricezione turistica, con due bellissime sale perché come dice Calvino quando vado in un posto vorrei inghiottire la loro cultura, il cibo e i loro vini”.

Il vino è una parte integrale della cultura di un popolo, un prodotto legato al territorio e non riproducibile ovunque, “noi adesso abbiamo 18 prodotti – continua Ercole – partendo dai quattro marsala, il Vergine, il Superiore secco, il Superiore Garibaldi – chiamato così perché era quello che piaceva al generale – e il Marsala Fine, il più economico ma perfetto per la preparazione di gustose pietanze. Poi abbiamo Zibibbo e Moscato –  ci ricordiamo delle origini arabe della parola zebib che vuol dire uva passa – a seguire vini bianco e rosso, vini da tavola doc Grillo, Kosho Igp Sicilia, doc Nero d’Avola e un altro doc il Lannì, che è affinato in botti del marsala. Per finire il vermouth bianco e rosso, il più antico aperitivo in Italia, i vini aromatizzati e le creme Marsala con uovo, caffè e mandorla”.

La degustazione inizia con il Marsala Vergine “il concetto è lo stesso dell’olio extra vergine, indica la purezza e virgin lo chiamavano così gli inglesi, proprio per questo motivo”. Anticamente non esisteva alcun trattamento quindi l’unico sistema per dare vita al vino era quello di aumentare il grado alcolico. Oggi il Marsala Vergine affronta almeno 5 anni di invecchiamento in botti di rovere con un rabbocco di vini di annate diverse”.

 “Non prende molti premi perché è un vino che non vuole fretta, è un vino per pochi, il consumo è leggero perché bisogna vedere dove inquadrarlo” – ci spiega Ercole.  Il Marsala Vergine è un aperitivo importante da servire freddo ma mai ghiacciato, “si abbina bene con pecorino, grana stagionato, ottimi salumi e gorgonzola”. Ercole ci vede bene anche una grigliata di carne, non certo un brodino leggero! Oppure si può assaporare a fine pasto, in una situazione conviviale “perché bere il vino richiede compagnia – sorride Ercole – da soli non si sta bene nemmeno in Paradiso!”. Il Marsala si può proporre anche a metà del pasto, fra un primo di pesce “dopo il quale solitamente offrono un sorbetto – aggiunge Ercole da buon chimico enologico quale è – che pulisce il sapore del pesce, ma l’acido citrico non si sposa bene con un secondo di carne.

Allora meglio un bel Marsala ghiacciato perché pulisce la bocca, lascia un bell’aroma e l’alcol non è percepito, poi si può andare al secondo di carne con un bel vino rosso importante”.  Il Marsala Vergine non teme gli abbinamenti arditi, “va benissimo con una pasta alle sarde palermitane, con finocchietto selvatico, sarde, uva passa e pinoli, mentre il Marsala Superiore si sposa con la pasta alle sarde trapanese che prevede il sugo di pomodoro”. E’ un vino complicato, va spiegato e inquadrato, si può servire come fine pasto per una situazione piacevole, incontro galante, sottofondo di Ravel, ma guai a nominarlo come di vino da meditazione! A detta di Ercole la gente ha paura di questa parola perché preferisce non pensare. Ci fa sorridere.

La nostra degustazione prosegue con il Lannì, nome che nasce da una fiera in Cina dove i cinesi chiamavano Alagna Lagnì o Lannì, per dare un nome semplice ad un concetto complicato. “Vino rosso affinato in botti che hanno avuto il Marsala, prende delle nuance particolari e lo lasciamo appena abboccato, quindi c’è un unione di tannini e un odore che viene dai legni, ma non quelli del vino barricato”. Solo gli Alagna adottano questa tecnica del passaggio in legno che ha avuto il Marsala, uscendo fuori dal discorso della barrique, “io 30 anni fa amavo la barrique – continua Ercole – ma poi l’ho abbandonata perché è vero che il legno arricchisce ma un uso smodato rende i vini tutti uguali”. Si sente vaniglia, vino quasi liquoroso, vengono fuori profumi tutti particolari. “Un vino rosso da bere anche fuori pasto, per la tonalità morbida, ma si può abbinare ad una bistecca leggermente al sangue o simili, comunque ad un piatto strutturato e sapido e, non entrando nella categoria degli ipertannici, non si abbina ai grassi per esempio del cinghiale”. Il tannino viene camuffato dai 4/5 grammi di zucchero che lo rendono liscio. Blend di uve con Nero D’Avola e una piccola quantità di uva rossa appassita.

Il terzo vino che apriamo è uno Zibibbo, dato dalla tecnica della mistella o del sifone. Come dicevamo prima deriva dall’arabo “zebib che significa uva passa perché gli arabi erano agricoltori e coltivavano molto quest’uva, detto anche Moscato di Alessandria D’Egitto, perché fa parte di uno dei 120 moscati che esistono al mondo”. Lo zibibbo veniva usato in Africa come frutto fresco, l’uva passa che arriva anche a Trieste chiamata zebiba, è segnale forte dei commerci dell’epoca. “Quest’uva ha un acino medio grande, fertilità gemmaria molto bassa ed è un’uva molto aromatica, bella e dolce. Lo zibibbo si fa prendendo l’uva, si pigia, poi una leggera fermentazione, quando arriva a 12 gradi zuccherini si aggiunge alcool proveniente da materia vinosa, che blocca la fermentazione mantenendo intatti gli aromi e la dolcezza.” Al palato ci accorgiamo anche di una presenza acida molto piacevole che evita a questo vino di diventare stucchevole. Lo stesso si fa col Moscato, che vede in più una macerazione sulle bucce. “Lo zibibbo con 11% di zucchero e 16% di alcol si abbina bene con pasticceria secca, crostate di frutta, torte di mele, albicocche, mele cotogne perché l’aromatico va bene con prodotti aromatici. Un vino da dessert delicato, non ci andrebbe bene una cassata o il cannolo che sono dolci troppo forti, i quali andrebbero bene invece col Marsala Superiore dolce”. Ercole ci ricorda che dalle uve aromatiche, alla fine, dopo un mezzo minuto, spunta una piccola nota amara, “quando bazzicavo in Germania negli anni ’80 mi accorgevo che i vari Gewurztraminer, Silvaner e le linee aromatiche tedesche erano leggermente abboccati, poi ho capito che se io non do una leggera dolcezza, quei vini diventerebbero imbevibili. Per esempio lo Zibibbo non si dà mai completamente secco, non è mai assoluto, ci sarà anche un Inzolia o qualche altro vitigno a tagliarlo più qualche grammo di zucchero a compensare, perché lo zibibbo in purezza è riservato a palati particolari”.

L’azienda famigliare viene gestita nella fase commerciale proprio da Antonio, giovane figlio di Ercole, che ha studiato alla Bocconi “ed è un commerciale purissimo – scherza il padre – non un affabulatore come me”. Si definisce countryman, “se vai a vedere il mio profilo sono ritratto con le forbici in mano, mentre lavoro in vigna”. Ercole lavora e studia sempre, insegna ma non smette di imparare “come qualche tempo fa quando andai ad una lezione del professor Zironi, e in quell’occasione, parlando del rosissimo, mi ha svelato il segreto dietro un avvenimento risalente a 40 anni fa, quando avevo vent’anni, in una campagna sociale presso una cantina emiliana di cui ho ancora memoria”.

“Chi insegna, apprende e chi apprende riesce ad insegnare”, cita Giovanni Gentile. Ercole sembra un novello professor Keating, stile attimo fuggente, ma anche un profondo studioso e osservatore della natura. “Lavorare il vino è una tecnica, come in tutto, bisogna capire come applicarla – sostiene Ercole da buon chimico, enologo e agronomo -se noi non applicassimo la tecnica, andremmo a bere quello che bevevano i Romani, quando il vino era addizionato di miele e alloro, un vino simile al vermouth perché aveva una gradazione alta”. Impossibile riproporre un vino di 500 anni fa “il sapore è cambiato, già soltanto perché le viti sono innestate e la concimazione è diversa, cosa che per esempio si faceva ogni dieci anni – Ercole continua facendo un esempio legato alla zona del Prosecco – i sapori cambiano, anche in base alle zone, la gastronomia cambia, se pensiamo che alcuni vini si abbinano solo a determinati piatti di alcune Regioni, quindi improponibili in altre”. Vino e olio rispecchiano l’ambiente circostante.

“Noi abbiamo necessità di immaginario – citando Levi Strauss – perché abbiamo bisogno dei nostri ricordi, delle nostre suggestioni – Ercole è un vecchio socio dello slow food che si riassume in buono, giusto e pulito – i cibi devono essere giusti e gratificanti, puliti per salvaguardare l’ambiente. Noi abbiamo il dovere di curare il terreno per lasciarlo buono alle generazioni future”. Termina il suo intervento con una bella nota di sensibilità ambientalista, puntando a restituire al terreno quello che esso ci regala. “Per noi, legati molto al terreno, la vita non è mai distante dal lavoro in vigna e in cantina –conclude – cantina e vita sono un unicum, fin quando non ero sposato la mia casa era dietro la cantina, che era casa e garçonnière, tra i 18 e i 33 anni, mangiavo con i miei ma vivevo da solo, i vantaggi del bon vivant e cocco di mamma. Poi mi sono sposato a 33 anni, abbandonando il mio harem in maniere garbata”. Brevi accordi di vita vissuta che si sposano bene con una degustazione di prodotti importanti e senza dubbio insoliti! Dalla terra del Marsala un saluto, anticipiamo che presto saranno in pubblicazione nuove interviste, sempre dalla bella terra siciliana.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici e non ha mai ricevuto finanziamenti privati fino al Marzo del 2023.

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