Apprendimento naturale: scopri come funziona la tua mente – parte 2

Apprendimento naturale: scopri come funziona la tua mente – parte 2

Di Sergio Ragaini

Dopo avere delineato, nella prima parte, come la mente funziona “naturalmente”, in questa seconda parte ci preoccuperemo di capire come la Scuola inserisce “blocchi”, costringendo la mente a funzionare all’opposto di come naturalmente dovrebbe funzionare.

Scopo di questa seconda parte è fare capire che, davvero, molti di voi che credono di essere negati per le Lingue e, in generale, per determinate forme d’apprendimento, probabilmente non lo sono, e forse sono addirittura portatissimi, se non “poliglotti naturali”.

Dopo avere “sgombrato il campo” dall’idea che la predisposizione linguistica sia prerogativa di questo o quel popolo, quindi genetica, ma piuttosto sia un fattore culturale, ci appresteremo a “toccare con mano” storie, tra cui la mia, di persone che si credevano negati per le lingue e, invece, erano portatissime.

Infine, affronteremo il tema della Grammatica, “mettendola al suo posto”, come strumento di analisi, peraltro arbitrario, e non ci certo come strumento per apprendere una lingua.

Gli ridaremo, quindi, il suo posto di “a posteriori” del linguaggio, e non di certo di “a priori”, come la Scuola vorrebbe farci credere che sia.

Ma cosa abbiamo studiato, a Scuola?
Visto che studiamo una lingua per anni, e non la parliamo?
E poi… il fatto di parlare fluentemente delle lingue
è una questione culturale, non “genetica”!

Dopo che, nella prima parte, abbiamo cercato di delineare come la mente funziona in maniera naturale, è giunto il momento di applicare il tutto ad un argomento piuttosto “scottante”: l’apprendimento linguistico.

Questo è uno dei temi “caldi”. Infatti, tanta gente, quando, ad esempio, si trova in un ambiente dove una Conferenza è in inglese, storce il naso, e pensa a questo in maniera spaventata.

Altri, poi, dicono: “io non sono portato per le lingue”.

Quando qualcuno fa un’affermazione di questo tipo, mi viene da dire: “Ma chi te l’ha detto?”.

Infatti, almeno in molti casi, queste sono solo credenze che la Scuola ha inserito in noi.

E le ha inserite perché l’insegnamento linguistico, nelle Scuole, almeno in quelle italiane, è uno degli elementi dove la “formazione deformativa”, per usare il termine utilizzato nel titolo del mio citato libro, è più evidente.

Una persona esce, infatti, dalla Scuola, dopo anni e anni che studia una lingua, e non la parla. Eppure l’ha studiata, eppure ha investito tempo, eppure, molte volte, ha ricevuto minacce da parte del professore. Eppure, magari, aveva un ottimo voto. Eppure… non la parla. Eppure… ascolta un network come la BBC e CNN… e sono solo suoni sconnessi non meglio definiti.

Per non dire cosa accade quando si guarda un film! Si sentono le frasi come se fossero molto più “corte” di quelle che sono, ci sembra che parlino velocissimo. E, naturalmente, tutto è incomprensibile.

E, lì, nasce la frustrazione. Infatti, si sono passati anni a studiare, ad esempio, la Lingua Inglese e ora, davanti ad una normale trasmissione televisiva in quella Lingua, che dovrebbe essere “scontato” si possa facilmente seguire… non si sa cosa fare: sono solo suoni incomprensibili.

Si fanno sforzi, si cerca di capire, ma… niente!

E allora, si “abbandona il colpo”. Si decide, in sostanza, che “non c’è niente da fare”. Si decide che “non è possibile capire”. Come era capitato ad una mia amica: questa ha provato diverse volte a seguire film in inglese. E, dopo un po’, ha dedotto che “parlano troppo in fretta”.

E, da lì, nasce l’idea che “non si sia portati”.

Poi si vedono persone di alte nazioni che, invece, interagiscono fluidamente in quella lingua. E, allora, nasce l’idea che ci siano Popoli più o meno portati per le Lingue. Ad esempio, nasce l’idea che i Russi, i Polacchi, i Popoli dell’Est, gli Arabi, sono portati, mentre gli Italiani no.

Vediamo, ad esempio, calciatori, sportivi e altro ancora, che parlano italiano, rilasciando interviste senza alcun problema. Interagendo in maniera corrente.

Spesso, quando una persona di un’altra Nazione arriva in Italia, dopo un po’ parlerà la lingua. Anche se la sua madrelingua è diversissima dall’Italiano. Per contro, gli Italiani che vivono in un’altra Nazione, spesso non ne parlano la lingua. Anche dopo anni e anni.

Ad esempio, se un uomo tedesco ha la moglie italiana, dopo un po’ parlerà italiano; viceversa, se un uomo italiano ha la moglie tedesca, verosimilmente, spesso, non parlerà tedesco.

Io, addirittura, ho visto persone italiane che vivevano a Tenerife e non parlavano spagnolo, nonostante quest’ultima lingua sia molto vicina all’italiano. Immaginiamoci allora lingue come il Polacco, l’Ungherese o l’Arabo! Eppure, a Tenerife, un ragazzo ungherese parlava correntemente spagnolo. E quanto è diverso dalla sua madrelingua! Eppure… lo parlava!

Allora nasce l’idea che gli Italiani non siano portati per l’apprendimento linguistico, mentre altri Popoli lo sono. L’evidenza sembrerebbe dirlo.

Eppure, possiamo considerare una cosa: uno dei più grandi Poliglotti della Storia è stato il Cardinale Giuseppe Gasparo Mezzofanti. Questo parlava, pare, ben 36 lingue correntemente.

Un altro poliglotta che ha fatta parte, sino a poco tempo fa, del palinsesto televisivo italiano, era Piero Angela. Entrambi erano di nazionalità Italiana.

Questo dice che l’apprendere fluentemente delle lingue non è una questione genetica, ma culturale.

Vale a dire, è parte dell’approccio alla Realtà e al linguaggio. Il parlare con naturalezza altre lingue non dipende, quindi, dalla provenienza, ma da come si approccia la realtà, in particolare quella linguistica.

Se, quindi, determinati Popoli imparano fluentemente delle lingue più rapidamente di altri, è solo perché il loro approccio alla Realtà, linguistica e non solo, è diverso. La genetica non c’entra.

Così come non c’entra un’altra cosa: vale a dire il fatto che la lingua italiana ha pochi suoni, e quindi per una persona di madrelingua italiana è difficile entrare in altri suoni.

Se questo fosse vero, vorrebbe dire che anche nella Musica dovrebbero esserci dei problemi. Invece, questo non capita, e i musicisti di madrelingua italiana hanno delle abilità musicali pari a quelle di altri Popoli. Però, magari, sorprendentemente quel musicista che ha una grande famigliarità con i suoni, non l’ha con le lingue. E questo, ancora una volta, conferma che i suoni non c’entrano nulla: il fattore è solo culturale.

Da cosa dipende questo “Fattore culturale”? C’è, in questo, qualcosa di profondamente “voluto”? Non so, in effetti, Sul tema ho di recente realizzato un video, che potete trovare sul mio Canale Youtube a questo indirizzo.

Comunque, la buona notizia, quindi, è che chiunque in questo momento sta leggendo deve sapere che il fatto di Provenire da un luogo o di un altro, dell’avere questa o quella madrelingua, non influenza la sua capacità di parlare con naturalezza più lingue, anche tante. E che, forse, tra di voi si annidano “poliglotti naturali” che credono di essere “negati per le lingue”.

Quindi, “resettate” queste idee, soprattutto se queste idee derivano da cose che vi hanno detto a Scuola. Abbiamo visto come la Scuola, spesso, sia una vera fucina di “formazione che deforma”, e il mio citato libro lo mostra molto bene. Quindi, per favore, smettete di credere a quello che la Scuola vi ha raccontato.

Di seguito, alcune esperienze in merito. Tra cui la mia. Che vi faranno capire come, spesso, quello che è derivato a voi dalla Scuola non sia vero. Dopo averle lette, sarete, spero, convinti di come i giudizi della Scuola non sempre sono attendibili. Anzi: sovente non lo sono del tutto.

Esperienze… tra cui la mia
che dimostrano che “la Scuola non ha sempre ragione”.
Anzi, “ha spessissimo torto!”
Dal 4 in Inglese a Scuola all seguire un’Università in Inglese…
il passo è breve! Anzi, non è “scolastico”!

Siamo a un po’ di anni fa. Stavo dando una mano in Matematica al figlio di un mio amico egiziano. Questo ragazzo aveva detto che in inglese prendeva voti terribili.

Io, osservandolo, e parlando con lui, ho dedotto che c’era qualcosa che non andava. Questo giovane adolescente era già naturalmente bilingue: infatti, in famiglia parlava correntemente arabo, lo leggeva e lo scriveva. Quindi, non solo conosceva due lingue correntemente, ma anche due alfabeti. E l’alfabeto arabo è ben diverso da quello latino: molto più di quello, ad esempio, Cirillico (quello del Russo, per intenderci, oltre che di altre lingue quali il Serbo, il Bulgaro e l’Ucraino). Inoltre, in arabo la scrittura va da destra a sinistra, quindi in senso inverso rispetto alle lingue latine e non solo.

Questo vuol dire che era, di fatto, impossibile che non riuscisse ad affrontare l’inglese.

E infatti… era impossibile. Questo ragazzo, una volta ultimati gli studi, con vari “debiti formativi” proprio in Inglese (fortunatamente oggi è molto improbabile che a causa di questi “debiti formativi” si possa fare ripetere un anno! In passato, forse, ci sarebbe riusciti! Immaginiamoci che disastro!), ha proseguito il studi in Cina, in un’Università in Lingua Inglese. Dove, alcuni anni dopo, ha conseguito la Laurea.

Quindi, era immerso in un ambiente linguistico Cinese, dove addirittura si usano ideogrammi invece che un alfabeto (quindi vuol dire dovere imparare migliaia e migliaia di segni), e ha seguito un’Università interamente in Lingua Inglese.

Oltre ad essersi brillantemente laureato, è tornato che padroneggiava anche la Lingua Cinese.

Se, però, si fosse fidato della Scuola, avrebbe pensato di essere “davvero” negato per le lingue, e non avrebbe nemmeno tentato quell’avventura. Fortunatamente, non ci ha creduto. E, di conseguenza, ha studiato in Inglese, e ora padroneggia anche il Cinese.

Una persona parla Inglese come un madrelingua…
e l’insegnante gli dà l’insufficienza. Incredibile, ma vero.
Nelle “Scuole Italiche” succede anche questo!

Vi riporto ora un’altra esperienza, stavolta del tutto opposta, o quasi.

Un ragazzo era stato diversi anni in Inghilterra, perché il padre aveva lavorato nel Regno Unito.

Quindi, parlava inglese come un madrelingua.

Quando si è trovato a fare inglese a Scuola, la sua insegnante gli ha dato l’insufficienza perché… a detta sua era scarso in grammatica! Eppure, parlava inglese come un madrelingua!

Pensando a questo caso, l’insegnante in teoria, non avrebbe nemmeno potuto giudicare questo studente. Infatti, lo studente in questione parlava inglese, sicuramente, molto meglio di lui! Eppure, questo insegnante non solo ha avuto la “sfrontatezza” di giudicarlo, ma aveva avuto il coraggio di assegnare un’insufficienza ad un madrelingua inglese, perché scarso in grammatica! Questo dice davvero tutto. Si sarebbe potuto dire, secondo quell’insegnante, che quel madrelingua non era portato per la Lingua Inglese! Visto che la parlava come un Madrelingua, questo non si sarebbe potuto dire di sicuro! Eppure, questo insegnante l’aveva fatto! Questo dice che, probabilmente, quell’inglese che quell’insegnante insegnava non era l’inglese “vero”, ma era “altro”. E proprio su questo “Gli insegnanti di lingue insegnano altro” ci soffermeremo poi.

E ora… la mia esperienza

Dall’idea di essere “negato per le lingue”…
al parlarle con fluidità…
il passo è… superare e abbandonare la didattica scolastica!

Quando ero fanciullo, mi riferisco ancora agli anni della Scuola Elementare, avevo seguito dei corsi di Inglese alla British School,  tenuti da insegnanti Madrelingua Inglese.

Avevano sempre detto a mia madre che “ero eccezionale”. Infatti, nelle pagelle finali, che distribuivano a fine anno, avevo sempre ottenuto 10. Tra tutte le prove svolte, avevo preso un solo 8 ½: guarda caso, in una prova di Grammatica, nel senso che erano frasi da completare (voleva dire qualcosa? Può darsi! Comunque era un buon voto, anche se non ottimo come gli altri!).

Comunque, appariva una mia spiccata predisposizione linguistica.

Poi, sono andato a Scuola con un Insegnante di Inglese alle Scuole Medie. Il primo anno, sotto l’onda dei corsi alla British, ho ottenuto ottimi voti, che andavano da 9 al 10. Il secondo anno delle Scuole Medie, invece, dopo un iniziale 9, proseguo con un 7. Quindi, in maniera discreto/buona. Anche se non di certo ottima. Avrei proseguito con voti così fino alla fine della Terza Media.

Una delle cose che notava la Professoressa di Inglese allora è che alcun e mie esposizioni scritte erano un po’ “stringate”. E, ora, io sono noto per scrivere tantissimo, anche in Inglese! Questo dice come la Scuola sia, in  molti casi, “deformativa” e “bloccante”.

Poi iniziano le Scuole Superiori. E, con queste, i loro metodi grammaticali, il loro costruire le frasi partendo dalle regole. E li sono cominciati i guai. Il Primo anno di Liceo ho rischiato di essere rimandato in Inglese. Poi ho cambiato sede didattica, rimanendo nella stessa Scuola (anzi, passando dalla succursale alla sede, quindi cambiando sezione) i voti sono migliorati, assestandosi sul 6-7. Avevo ritrovato però, nella nuova sezione, gli stessi metodi che avevo lasciato: frasi da tradurre meccanicamente, e voti assegnati in base agli errori che si commettevano.

Anche con un miglioramento dei voti, che mi aveva consentito di “chiudere” gli anni delle Scuole Superiori con un 7 finale, avevo comunque sviluppato la convinzione di non essere portato per le lingue. E, in effetti, mi comportavo come tale. Tanto che alcuni miei amici mi avevano detto che ero “negato per le lingue”.

Quando, ancora anni dopo, mi ero recato in diversi Stati Europei, mi comportavo proprio come se fossi “negato per le lingue”. Non riuscivo quasi a parlare inglese, anche se, lo ammetto, ci provavo. Ma non ci riuscivo. Come buona parte degli Italiani. E lo dicevo anche in casa, che non riuscivo a capire nulla quando sentivo parlare inglese, per quanto provassi a farlo.

Ovviamente, nella mia famiglia non si poteva parlare male dei Metodi Scolastici: per definizione, quello che veniva dal Sistema era buono. Quindi, i metodi scolastici erano giudicati validi. Anzi: qualcuno della mia famiglia “esaltava” la preparazione che ci aveva dato la Professoressa di Inglese che avevamo avuto sia io che mio fratello. Alla fine, quindi, ero io che non ero portato: l’insegnante ci aveva insegnato benissimo. Oppure, come dicevo, poteva maturare la convinzione che “facevo parte di un Popolo non portato per le lingue”. Anche se, di fatto, “rifiutavo” questa appartenenza a questo Popolo Italiano: cosa che, ammetto, esiste anche tutt’ora. E di questo ho parlato in diversi miei libri: oltre al citato “La Formazione deformativa”, anche in “Esistenze Multidimensionali”. Questo mi permetteva di “detestarlo” ancora di più, proprio per quello che questa didattica mi aveva inserito, quelle “sovrastrutture” che mi impedivano di parlare correntemente una lingua.

Questa idea di non essere portato, tuttavia,  pareva contrastare fortemente con il fatto che avessi, invece, orecchio musicale, ad esempio. Cosa che avrebbe voluto dire predisposizione linguistica, almeno sulla carta.

Poi, anni e anni dopo, si era già negli anni 90, a un Concerto avevo incontrato uno psicologo di nazionalità Argentina. Che parlava correntemente inglese, francese, italiano e spagnolo.

Avevo cominciato a parlare spagnolo con lui. A questo punto, questo psicologo mi aveva chiesto dove avessi imparato a parlare spagnolo. Io avevo risposto che l’avevo imparato in Perù, dove ero stato, poco tempo prima, a trovare mio cugino, che aveva fatto lì il Servizio Civile, lavorando per circa due anni in un’Università nel Nord del Paese.

Questo amico psicologo era stupito che, dopo tre settimane in Perù, parlassi spagnolo. In effetti, lo ammetto, parlare spagnolo era, per me, come parlare italiano. Lo stesso era stato per il Francese, mi usciva in maniera del tutto naturale. Al punto che, quando ascoltavo le trasmissioni di France 2, il Secondo Programma della Televisione Francese, mi sembrava di ascoltare trasmissioni in Lingua Italiana.

Infatti, mia madre non capiva come potessi parlare francese, visto che non l’avevo mai studiato.

E questo dimostra quanto fosse legata alla mentalità della Scuola, per cui le lingue “devono essere studiate”, invece che “assorbite”. Per me, invece, parlare francese e spagnolo era del tutto naturale.

Tornando al mio amico psicologo, questo, allora, mi ha detto che avevo una straordinaria predisposizione per le lingue. Io gli ho detto che credevo di essere negato. Lui è scoppiato in una risata.

A quel punto, mi sono letteralmente “ricordato” quello che avevano detto a mia madre alla British School, anni prima, dicendole che ero eccezionale. L’avevo rimosso, sotto il “peso” dei giudizi scolastici”, e della frustrazione che quell’insegnamento mi aveva dato.

A quel punto, il mio approccio linguistico è cambiato.

Tuttavia, vedevo che era difficile liberarsi dal peso dell’insegnamento scolastico. Mi ero reso conto, insomma, che la Scuola mi aveva creato delle tendenze, quelle di costruire delle frasi partendo da regole, che ormai erano radicate. E, malgrado facessi sforzi notevoli, non riuscivo a liberarmene.

Avevo, in quegli anni, provato ad elaborare dei metodi di apprendimento linguistico. Tuttavia, questi erano più frutto di una “rottura” con il Sistema Scolastico che di una vera tendenza ad elaborare metodi davvero significativi. Alcuni di questi metodi che proponevo erano piuttosto “particolari”, quali quello di mettersi davanti allo specchio cercando di “imitare” la sonorità della lingua che si voleva conoscere. Ma non potevano funzionare. Anche se erano dei tentativi di “rottura” col Sistema Scolastico, e come tali andavano visti. Tuttavia erano solo rotture: non c’era, alla base, una vera e propria proposta.

In quegli anni, avevo iniziato anche a tenere un Cineforum in Inglese. In realtà, il Cineforum era in inglese solo nel senso della lingua dei film proposti: il tutto, presentazioni comprese, si svolgeva in lingua italiana. L’idea che fare le cose in inglese fosse difficile dominava, e nessuno si sbilanciava.

Una sera, però, al Cineforum andava in scena “Stealing Beauty” (“Io ballo da sola”) di Bernardo Bertolucci. In sala c’era un nutrito gruppo di persone di Madrelingua Inglese. Nessuno di loro parlava italiano. A quel punto, ho pensato che non avrei potuto presentare il film in italiano. Ho deciso, quindi, di presentare il film in inglese. Tra parole che non venivano e altro ancora ho fatto la presentazione in inglese. Scusandomi che non fosse di certo “il massimo”. Alla fine, qualcuno del gruppo dei Madrelingua Inglese mi ha fatto i complimenti, dicendomi: “Practice it”, che poteva voler dire “Pratica in questo senso”, o anche, in un certo senso, “Continua così”.

E io ho continuato così. In quel momento, ho proprio percepito un “Yes I Can do it!” (“Si, posso farlo!”). E, quindi, da quel momento, finché ho tenuto quel Cineforum in Lingua Inglese, tutte le presentazioni dei film, e le relative schede di presentazione, sono state in Inglese.

A questo, poi, si è affiancato un Cineforum per le Scuole, anch’esso in Lingua Inglese. In quel caso, spesso, le Scuole si aiutavano con film in inglese sottotitolati nella stessa lingua inglese, in modo da aiutare i ragazzi ad abituarsi ai suoni della lingua.  In quel caso, avevo anche ricevuto i complimenti dal Docente che li accompagnava. Con il quale c’era il progetto di organizzare qualcosa a nome nostro, in Inglese, per le Scuole almeno della Lombardia. Progetto che, però, non era mai andato in porto. Comunque, Mauro, questo il nome del Docente, era davvero simpatico, e lo ricordo ancora con gioia. Anche se sono passati ormai molti anni.

Anni dopo, nel 2019, avevo raccolto tutte le schede in Inglese e ne avevo fatto una pubblicazione con “Kindle Directr Publishing” che utilizzo per autopubblicare i miei libri. Il libro si intitola “The Cinema becomes alive” (“Il Cinema Prende vita”), ed è disponibile online. Riguardando oggi quelle schede mi viene da sorridere per come sono scritte. Un inglese, sicuramente, da “lingua tradotta”, o quasi, non da persona fluente. Tuttavia, c’erano: ed è stato bello così.

Sempre in quegli anni, si era nel 1998, avevo cominciato a lavorare in una rivista di Turismo Congressuale (vi avrei lavorato fino al 2001). Lì scrivevo anche gli estratti dei miei articoli in Lingua Inglese. E, inoltre, seguivo convegni in Inglese. Nel 1999 avevo seguito, a Rimini, un Convegno della MPI, Meeting Professionals International, interamente in Lingua Inglese.

Tuttavia, il mio inglese era legato ancora alla meccanicità della Scuola. Scrivevo, è vero, ma ancora in maniera meccanica, quasi costruendo le frasi. La Scuola aveva lasciato il segno.

Facevo anche parte di un Gruppo Vocale Anglofono (ne avrei fatto parte dal 1994 al 2001), dove la direttrice era Gallese. Parlavo, ma tutto sommato avevo i soliti problemi di comunicazione. E, quando parlavano loro, tutto diveniva incomprensibile… o quasi.

Avevo, insomma, capito che nella Scuola qualcosa non andava. Tuttavia, malgrado tutto, non riuscivo a liberarmi da quello che la Scuola mi aveva “messo dentro”.

Avevo cominciato ad “approcciare” anche il Tedesco. Tuttavia, i problemi erano gli stessi.

E, in quel momento, mi sono reso conto, davvero in maniera diretta, come l’insegnamento scolastico non sia solo inutile, ma dannoso: infatti, inserisce blocchi strutturali nella mente, che attivano zone della mente stessa non preposte all’apprendimento linguistico. Che, però, diventano le zone che la mente usa per quello. Questo vuol dire che si prendono abitudini che, poi, non è così immediato allontanare, delle quali non è così immediato “sbarazzarsi”.

Nonostante tutto, come accennavo, parlavo francese semplicemente seguendo le trasmissioni di France 2. Il Francese l’avevo sentito più o meno, perché mio padre aveva lavorato, per anni, in una ditta francese, quindi lo parlava correntemente. Un po’ l’avevo orecchiato. E la televisione aveva fatto il resto. Forse è per questo che quello era fluente: nessuno me l’aveva insegnato a Scuola. Con mio padre avevo letto qualcosa. Ma per il resto avevo fatto tutto “in automatico”.

Completamente automatico, come dicevo, è stato lo Spagnolo…. che appare venuto davvero “da solo”: come se fosse un meccanismo inconscio, una “sfumatura” dell’italiano.

Riguardo al Francese, avevo seguito un anno al pomeriggio un Corso proposto dalla Scuola. Non è servito a molto: lavoravano sulla Grammatica, e questo dice davvero tutto. Posso dire che quello che ho imparato l’ho imparato da solo, con un pochino di “immersione” in quello che diceva mio padre, quando lo ascoltavo nei suoi discorsi, magari vagamente, o quando parlava con qualcuno in francese. E, così, queste due lingue sono venute, praticamente “da sole”. Dimostrando così che una lingua si può imparare “in immersione”.

Quindi, dove la Scuola non era intervenuta le cose andavano meglio. E questo dice tutto sulla Scuola.

Lo “sblocco” definitivo con l’inglese è avvenuto in Australia, nel 2004.

In quell’anno ero in Australia, con un amico, che aveva avuto lui l’idea di quel viaggio, con lo scopo di esplorare nuove possibilità “esistenziali” (e lavorative). In quegli anni ero reduce, come raccontavo, da Cineforum in Inglese e simili. Tuttavia, giunto lì, tutto era oscuro: parlavano e per me era tutto incomprensibile. Una volta ero andato a fare un giro da solo nei dintorni di Melbourne e quasi non comunicavo. Infatti, l’autista, affidandomi ad un altro autista, aveva detto di me: “He’s a visitor, he doesn’t speak so much” (è un turista: non parla molto, intendendo l’Inglese).

Vedevo persone di altri Popoli che interagivano correntemente con l’Inglese. Avevo incontrato una ragazza olandese che parlava inglese in modo del tutto corrente. Quando le ho chiesto dove studiassero inglese, per parlare così, mi aveva risposto: “Only at School” (Solo a Scuola). In quel. Momento, ho capito quanti disastri faccia la Scuola Italiana. Perché dopo avere studiato inglese a Scuola in Olanda la gente parla correntemente inglese e dopo avere studiato in Italia questo non accade? Perché i docenti italiani, visto che gli studenti olandesi escono dalle scuole e parlano inglese correntemente, non vanno a chiedere ai docenti di là come fanno? 

Non so, in effetti: forse sarà dovuto a un’endemica tendenza ad evitare di “guardare al di fuori” del proprio orizzonte mentale. Ad una totale “autoreferenziualità”, tipica del Popolo Italico.

Comunque, quello che stupisce, è che si sa benissimo che l’insegnamento linguistico in Italia è del tutto improduttivo, e anche dannoso. Eppure… si continua così. E questo, in effetti, sconcerta. Forse, il mio citato video ha qualche ragione!

Vedremo nella prossima parte che sconcerta anche il fatto che i metodi corretti ci siano, e le Scuole di Mediazione Linguistica, da cui escono interpreti dopo pochi anni, ci sono. Tuttavia, questi metodi non vengono insegnati nelle Scuole, e nemmeno si prova ad integrarli nell’insegnamento a Scuola. Perché? Ne parleremo nella prossima parte.

 Torniamo ora all’Australia. Dopo il disorientamento iniziale, ho capito che qualcosa non andava. E, in quel momento, ho capito che lo scopo di una lingua era la fluidità. E a quello occorreva puntare. E, da quel momento, la “musica” è cambiata, quasi del tutto.

Proprio lì avevo acquistato “Avere o Essere” di Eric Fromm in Lingua Inglese. E, da quel momento, tutti i libri la cui lingua originale era l’Inglese li avevo letti in Inglese. Lo stesso per il Francese. E quello ha fatto cambiare molte cose.

Da quel viaggio in Australia sono tornato con idee sulle Lingue completamente diverse. Ed è cominciato un diverso percorso di approccio alle stesse.

Oggi ho al mio attivo anche tre libri in inglese (uno è quello, appena citato, delle schede di Cinema), e, sempre in inglese, diverse Poesie. Nella mia ultima raccolta di Poesie c’è una parte in Inglese.

Grazie a Duolingo, applicazione di Apprendimento Linguistico, ho lavorato e sto lavorando sul Russo e sul Cinese, oltre che sul Polacco. Ma, saltuariamente, anche su altre lingue.

Nel 2006 avevo trascorso un mese in Germania, dalla quale ero tornato parlando Tedesco.

Questo vuol dire che… non era vero che non ero portato per le lingue. E i fatti l’hanno dimostrato.

In quegli anni, avevo scritto diverse cose sull’argomento: da un lavoro in Ebook del 2008, avevo scritto e pubblicato il libro: “Apprendimento linguistico e oltre. Dal linguaggio all’elaborazione dell’informazione” (maggio 2016). Un libro abbastanza “fantasioso” e suggestivo. Anche quello ancora un tentativo.

Poi, nell’estate 2018, avevo pubblicato: “Apprendimento linguistico: il sorriso della comunicazione globale” (agosto 2018): dove , invece, puntavo tutto sulla fluidità e proponevo una partenza dalla struttura delle frasi.

Oggi, invece, ho un approccio ancora più “fluido”, che incontrerete nelle prossime parti di questo lavoro, e che, vi annuncio già da subito, sarà oggetto di una prossima pubblicazione libraria.

Insomma: mi sembra di essere tutt’altro che “negato”!

Mi fossi fidato della Scuola, avrei continuato a portare in me questa idea. E l’avrei anche tutt’ora.

Più avanti analizzeremo l’insegnamento linguistico che, almeno, ho avuto io a Scuola, quando avremo mostrato come la mente lavora a livello linguistico.

E, a quel punto, capirete anche voi, come ho capito io, che a Scuola non solo non ci hanno insegnato nulla di valore, ma ci hanno insegnato qualcosa che ha contribuito a creare blocchi e frustrazione. E che, per molti, ha contribuito ad inculcare l’idea che si è negati per le Lingue. Cosa che, verosimilmente, è falsa. Il mio video, menzionato poco fa, si pone la domnanda se la cosa sia perfettamente “voluta”. Forse sì, in effetti. 

Magari, alcuni di voi “presunti negati”, come dicevo, si riscopriranno “poliglotti naturali”.

Non escludetelo: anzi, potrebbe essere decisamente probabile.

Come avete visto dalla mia esperienza, però, ho impiegato anni per riuscire ad eliminare le “tossine” scolastiche, perché di tossine si può parlare, visto che danneggiano il naturale funzionamento della mente, e lo bloccano.

Questo vuol dire che, anche per voi, il tutto potrebbe non essere immediato.

A differenza mia, che ho dovuto trovarla, voi però avrete una direzione, visto che ve la fornirò: come spero di avervi fornito una direzione sull’uso della memorizzazione implicita, al punto che, magari, qualcuno di voi avrà scoperto di “avere buona memoria” e di “avere il dono della scrittura”: e prima nemmeno lo sapeva. Magari, scoprirete lo stesso anche per le lingue. Vi chiederò anche, nelle prossime parti, di insistere: senza sforzo, ma di insistere.

Solo così, le “tossine” dell’insegnamento scolastico se ne andranno. In questo caso, il miglior “detox” è proprio… operare in maniera diversa.

Ogni volta che lo farete, un po’ di tossine che la Scuola vi ha inserito se ne andranno. Fino a non  averne più, e ad essere del tutto liberi.

Questo vale anche per la Memoria Implicita di cui parlavo nella parte precedente: solo esercitandovi le tossine dell’apprendimento meccanico, che la Scuola vi ha inserito, potranno dissolversi. E, finalmente, comincerete ad utilizzare la mente per quello che davvero può darvi.

A questo punto, dopo avere letto queste esperienze, che sono tratte, come avrete compreso, da episodi realmente accaduti (anche a me, come avrete letto!), continuiamo a “smontare” l’insegnamento scolastico. E lo facciamo all radice: proprio da quella Grammatica che aveva fatto giudicare “scarso” quello studente di fatto madrelingua.

Cercheremo di mostrare che la Grammatica non è del tutto “senza senso”: tuttavia, va messa “al suo posto”.

Proprio da qui comincerà quello “smontaggio” del Sistema di Insegnamento, e di tutti i blocchi che quello stesso Sistema ha saputo generare nelle persone.

La Grammatica: strumento di analisi della Lingua… che assurge a Valore Assoluto. Il problema è… che la gente ci ha creduto, e anche oggi ci crede!

Quello che la Scuola fa credere….

Partiamo proprio da qui: dalla Grammatica. Da quello “spauracchio” sui cui si costruisce l’apprendimento linguistico. E che, comunque, viene fatta credere come una condizione irrinunciabile per parlare una lingua.

Vedremo che l’evidenza farà “cadere” immediatamente questa idea.

A Scuoia, quando il fanciullo giunge, già in tenerissima età, viene letteralmente “bombardato” da complementi di modo, di mezzo, di causa efficiente, di agente, di pronomi, congiunzioni, avverbi, forme verbali, coniugazioni verbali…. e chi più ne ha più ne metta.

Poi, arriveranno i soggetti, i verbi, i complementi oggetti, i complementi di specificazione…. e così via.

Fin qui… ancora  nulla di drammatico: si tratta solo di dare degli strumenti per “analizzare” la lingua. Il problema è che questo strumento, “a posteriori” del linguaggio, viene posto come un “a priori”. Nel senso che la persona crede (perché viene fatto credere!)  che quello strumento sia una condizione “sine qua non” per poter parlare con proprietà. Insomma: al fanciullo viene fatto credere che, per parlare con proprietà, sia necessario conoscere gli avverbi, i verbi, le coniugazioni, le congiunzioni, gli aggettivi e la loro classificazione e così via.

Più avanti, alla persona, più cresciuta e ormai adolescente, verrà fatto credere che, per parlare una lingua, occorra conoscere cos’è un complemento oggetto, un complemento di specificazione, un nominativo, una accusativo e così via. Senza queste conoscenze, non è possibile parlare una lingua, e farlo con proprietà.

Tutto questo viene poi “traslato” nell’insegnamento di una nuova Lingua. Si insegnano le strutture linguistiche, il presente, il passato e così via.

Si insegnano le varie forme linguistiche, le strutture. E, in lingue come il tedesco, si insegnano le declinazioni e così via.

Il curriculum linguistico, quindi, è impostato in  questo modo: prima frasi al presente, poi quelle al passato, poi quelle al condizionale e così via.

Il tutto, visto che la Grammatica è messa come elemento basilare, si svolge in questo modo: si parte dalle regole, da quella Grammatica tanto “osannata” come strumento del buon linguaggio dagli insegnanti di Italiano, e a quanto pare non solo, e si costruiscono frasi partendo da quelle regole.

Ora pare che la didattica sia un po’ cambiata: quando ero io alle Scuole Superiori, i compiti in classe erano così strutturati: si davano frasi in italiano, e si chiedeva di tradurle in inglese, parola per parola. Il voto finale dipendeva dagli errori che si facevano.

In prima superiore le frasi erano facili, poi sempre più difficili.

Ecco: questo era l’insegnamento delle Lingue a Scuola. La persona, quindi, credeva che quella fosse la Lingua, e che parlare una lingua implicasse partire dai verbi, dalle congiunzioni, dove ci sono dalle declinazioni (come nel citato caso del Tedesco).

La gente, insomma, ci ha creduto! E si è fatta l’idea che imparare una Lingua significasse imparare tutta quella sequenza, sterminata in lingue come il tedesco, di casi, di declinazioni, di “forme forti e deboli”, di strutture e così via.

Non a caso, la prima cosa che dice una persona, quando si parla di una nuova lingua, è: “Com’è la grammatica?”. Parlando della Lingua Francese con un amico, e dicendo che è come parlare italiano, almeno per me, questo amico mi aveva detto: “Eh, ma la grammatica è difficile!”.

Una sera, anni dopo, ero a cena con una persona, che aveva appena tenuto una Conferenza. Quindi una persona di indubbia cultura. Aveva la moglie della Repubblica Ceca.

Ho chiesto a questa persona se parlasse Ceco. Mi ha detto di no, dicendomi poi che “ogni parola ha sette casi diversi”.

Tempo prima, una mia conoscente voleva trasferirsi in Olanda. Mi ha detto, quando cercava di imparare la lingua, che “ogni parola aveva molti casi”.

Un’altra persona che era vissuta in Olanda, ha detto che, prima di stabilirci, fanno a tutti corsi di Lingua Olandese. La prima cosa che aveva notato era che “La Grammatica è semplice, rispetto a quella tedesca”.

Insomma: la prima cosa che le persone notano di una lingua è la grammatica.

Questo vuol dire solo una cosa: per la persona, la Lingua è un insieme di regole da padroneggiare. E tutto ciò implica che, secondo queste persone, condizione “sine qua non” per poterla parlare è partire dalle regole, dai casi grammaticali e così via. Senza quel “passaggio”, sempre secondo loro, la lingua non si può parlare.

Questo porta la persona, ovviamente, a non imparare quella lingua.

Purtroppo, la Scuola ha davvero “lasciato il segno”, ed è stata “creduta” dalle persone. Che hanno perfettamente “assorbito” i suoi schemi e paradigmi. E li credono veri in maniera ineluttabile. Forse perché, malgrado tutto, ritengono la Scuola una fonte “autorevole”.

Ovviamente, visto che, in questo modo, la comunicazione diviene lenta e frustrante, la persona crederà di non essere portata per le Lingue. E, soprattutto, crederà che imparare una lingua sia una cosa difficile, faticosa, frustrante, che richieda uno sforzo immane per imparare regole, casi, declinazioni e così via. E, per poi…. non parlarla!

Parlando del tedesco, la prima cosa che la gente dice è: “Ha le declinazioni!”. Insomma: conoscerne le declinazioni è l’unico modo per poterlo parlare. Altrimenti…. quella lingua non si parla!

È questa idea radicata che porta le persone a non imparare altre lingue. È proprio questo credere che parlare una nuova lingua voglia dire partire dalle regole e costruire delle frasi partendo ogni volta da zero. Magari pensando che… a furia di ostruirle la cost5ruzione diverrà fluida.

Questo è del tutto sbagliato: e lavorare in questo modo è il modo migliore per non diventare “mai” fluidi. Perché è un modo addirittura “antitetico” a come la mente naturalmente funziona.

Solo… la gente crede che sia così. E per questo non parla con fluidità altre lingue.

La Scuola… e le sue false idee

Tutto ciò che ho descritto prima, compresi i “paradigmi” che la Scuola inserisce non è vero, ed è esattamente il contrario di quello che, naturalmente, la mente fa.

Ed è per questo che, dopo anni e anni di Scuola, la gente non parla una nuova lingua: in questo modo è impossibile farlo. Se invece che 3, 4, 5, 10 anni, si lavorasse così per molti di più, il risultato non cambierebbe. Aumentando solo la frustrazione.

Inoltre, questo modo di lavorare, come abbiamo visto, è decisamente dannoso. Infatti, si attivano zone della mente (del cervello, se preferite) che non sono quelle preposte all’apprendimento del linguaggio. È esattamente come se ad una persona venisse insegnato a camminare sulle mani e a scrivere con i piedi. Questa persona penserebbe che scrivere e camminare sia difficilissimo. Invece è molto semplice: solo, sta usando quegli arti che non sono preposti al camminare e allo scrivere. Abbiamo le gambe per camminare e le mani per scrivere! Non a caso, quando una persona scrive male, si dice che “scrive con i piedi”: i piedi non sono preposti per scrivere.

Quello che fa l’insegnamento scolastico, almeno quello che ho vissuto io, è la stessa cosa: insegna a scrivere con i piedi, nel senso che insegna ad utilizzare parti della mente che non sono preposte per l’apprendimento linguistico: come abbiamo visto nella prima parte, la mente ha un suo modo del tutto “naturale” di funzionare, e se non la utilizziamo per quello che è programmata a fare, questa non funzionerà bene. Sarebbe come utilizzare una lavatrice per lavare i piatti: avremo solo piatti in poltiglia! O utilizzare una lavastoviglie per lavare i vestiti: immaginiamoci come potrebbe lavarli!  Le lavatrici e le lavastoviglie hanno delle funzioni ben precise, e come tali vanno utilizzate.

Lo stesso è per la mente: se, per imparare delle lingue, utilizziamo processi mentali completamente diversi da quelli che già naturalmente abbiamo, e che sono perfettamente funzionali e funzionanti, è ovvio che i risultati saranno disastrosi. E non solo: la persona si convincerà che quelli sono i processi mentali da attivare per imparare delle nuove lingue. Il fatto che diverse persone chiedano, parlando di una nuova lingua, “Com’è la Grammatica?”, o pensino alle declinazioni del tedesco o del Ceco o del Polacco come passaggio necessario per poterlo parlare, dimostra che questa idea della Grammatica come base per parlare una lingua è “passata” nelle persone. E i risultati di “frustrazione” si vedono: e si vedono ogni volta, infatti, che quella persona si trova davanti la lingua quella vera, non quella costruita con le regole. In quel momento, la persona scoprirà che non saprà comprendere nulla. La persona ascolterà la BBC, CNN e sentirà solo dei suoni non meglio definiti, magari dopo anni e anni che è stato a Scuola a imparare l’Inglese, magari “a suon di brutti voti”.

“Eppure è inglese!”, si chiederà. Eh sì, ma non è quell’Inglese che la persona ha imparato a Scuola. È il “vero” inglese, quello che la gente di quei luoghi parla. E la gente non capirà nulla: proprio perché, quello che ha studiato, è “un altro” Inglese, e non è l’Inglese quello vero.

La persona, a quel punto, penserà di non essere portato.

È esattamente, riprendendo il paragone di prima  come se una persona fosse stata convinta che i piedi sono gli arti preposti alla scrittura. Facendo una grandissima fatica, e ottenendo pessimi risultati, la persona penserà di non essere portato per scrivere, che scrivere sia una cosa terribile, faticosissima e così via. Poi, magari, qualcuno gli farà notare che gli arti preposti per scrivere non sono i piedi, ma le mani. A quel punto, la persona scoprirà che scrivere è una cosa facile, immediata: e che, come sto facendo io con la tastiera del mio Computer in questo momento, può essere veloce e fluente. E richiede pochissimo sforzo.

Ecco: il paragone funziona: partire dalla Grammatica e costruire da lì una lingua è come imparare a scrivere con  i piedi: è una cosa faticosissima, e i risultati sono pessimi. Se, invece, cominciamo ad utilizzare le mani per farlo, tutto diventa facile e fluido in breve tempo.

Quello che occorre, quindi, fare, è decidere di “scrivere con le mani”. Questo, nel caso dell’apprendimento linguistico, significa capire come noi apprendiamo naturalmente una lingua, e fare di conseguenza, assecondando, e non ostacolando la nostra mente.

La mente è lì, pronta ad imparare. Occorre, però, lasciarla operare in autonomia, come visto.

E, se decidiamo di partire dalle regole e costruire le frasi, di partire dalle declinazioni e altro ancora, non impareremo nulla, perché staremo scrivendo usando i piedi invece che le mani.

Vedremo che apprendere una nuova lingua può essere facilissimo e anche divertente. La mente è lì per quello, e l’ha già fatto una volta: basta permetterle di rifarlo ancora!

Ma allora, cos’è la Grammatica? È qualcosa di assurdo, qualcosa da evitare? Non è detto: basta “metterla al suo posto”, come dicevo prima. E tutto, così, si aggiusta naturalmente.

Ma allora, cos’è la Grammatica?
Semplice! Uno strumento di analisi del linguaggio…
tra l’altro convenzionale e arbitrario.
Nulla di più

Intanto, direi, partiamo da una semplice osservazione. Questa va a smontare tutta l’idea che la Grammatica è condizione “sine qua non” per parlare una nuova lingua. O anche la vostra Madrelingua.

Pensiamo ad un fanciullo che giunge a Scuola. Proprio prima che la Maestra cominci a  “tediarlo” con i vari Complementi di Causa Efficiente e così via (complemento sul quale faccio una battuta: se il treno arriva in ritardo il complemento diventa “di causa inefficiente”!).

Se fosse vero che la conoscenza della Grammatica è condizione ”sine qua non” per parlare una lingua, quel bambino dovrebbe comunicare con l’insegnante “a gesti”, visto che non sa nulla di Grammatica. Eppure, parla correntemente italiano, e lo fa anche in maniera del tutto fluida!

Eppure… nessuno gli ha ancora insegnato che cos’è un pronome, una congiunzione, un avverbio e così via.

Questo vuole dire solo una cosa: la Grammatica non è uno strumento necessario per parlare una lingua. Diversamente, il bambino arriverebbe a Scuola comunicando a gesti! Invece parla tranquillamente, anche senza sapere cos’è un soggetto, un complemento oggetto e così via.

E questo sgombra il campo da ogni dubbio: la Grammatica non è uno strumento per apprendere una lingua.

E, cosa fondamentale, è “successivo” alla Lingua: è, tecnicamente parlando, un “a posteriori” alla Lingua. Se fosse precedente, se fosse un “a priori”, la persona senza quella non parlerebbe. Eppure lo fa. Questo dice che Lingua e Grammatica sono cose diverse.

E dice anche un’altra cosa, anche questa fondamentale: che una Lingua si evolve indipendentemente dalla Grammatica. Che è lì solo per permetterci di …

Qui faccio una pausa, e trasformo il tutto in  una domanda: per permetterci cosa, oltre che tediarci per anni, “salendo in cattedra” e facendoci credere di essere “lei” la condizione per parlare quella lingua? La risposta segue immediatamente: ma per analizzarla, naturalmente!

La Grammatica, quindi è solo uno strumento di analisi del linguaggio. Non a caso, quando una persona analizza una frase, si dice che fa l’”Analisi Grammaticale”,  l’”Analisi Logica”, l’”Analisi del Periodo”.

Il nome stesso lo dice: sono mezzi per analizzare le frasi e le strutture linguistiche. Non certo mezzi per parlarle! Sono strumenti per analizzarle e basta.

Questo è il loro scopo, questa la funzione della Grammatica: fornire uno strumento di analisi del linguaggio.

In questo senso, può avere anche la sua funzione. Ma solo in questo senso: e, se si decide di insegnarla, questo va messo molto bene in chiaro: è solo uno strumento di analisi del linguaggio, nulla di più.

E vi dirò di più: si tratta anche di uno strumento “arbitrario”. Nel senso che è uno strumento puramente “convenzionale”. Vale a dire che, di fatto, il Pronome è solo un’etichetta che mettiamo ad una certa parte del linguaggio: non è la caratteristica di quella parte del linguaggio. È solo un nome che diamo.

E anche la classificazione grammaticale è una delle tante possibili: potremmo trovarne molte altre. Abbiamo scelto questa perché si è universalmente scelto così. Tuttavia, è solo una convenzione.

Quindi, alla fine, la Grammatica è solo uno strumento di analisi del linguaggio, ed è arbitrario e convenzionale. Quindi, è solo “uno” dei tanti possibili strumenti di analisi possibili. Solo quello.

E come tale va presentato, se lo si vuole utilizzare.

Affermare che quello strumento è necessario per parlarlo equivarrebbe a dire, facendo un esempio, che conoscere la composizione del sangue è condizione perché questo possa scorrere, o conoscere la composizione di una certa acqua è la condizione perché questa possa sgorgare e fluire.

Sembrerebbe assurdo solo pensarlo: eppure, quando crediamo che, per imparare un a nuova lingua, occorra la grammatica, stiamo pensando proprio questo: che il sangue circola solo se ne conosciamo la composizione.

Tutto questo non ha senso.

Da un punto di vista tecnico, quello che fa la Scuola è trasformare un “a posteriori”, vale a dire qualcosa che viene “dopo” la lingua, in un “a priori”, vale a dire qualcosa che viene “prima” della lingua. Insomma: alla persona viene fatto credere che la lingua sia derivata dalla Grammatica: senza pensare che, in fondo, questa stessa persona arriva a Scuola e parla correntemente una lingua senza nemmeno sapere cosa siano le forme grammaticali.

Eppure, la Scuola fa credere che quello strumento sia un “a priori” della lingua. E condizione “sine qua non” per poter parlare quella lingua.

Questo è così assurdo che… la gente ci crede, rimuovendo, in pratica, il fatto che una persona arrivi a Scuola parlando correntemente una lingua, senza sapere nulla di Grammatica.

E questo accade anche perché… l’hanno detto a Scuola. Esattamente come la gente crede ad una cosa perché… l’hanno detto in televisione.

Nella mente delle persone, purtroppo, c’è spesso un assioma, vale a dire un enunciato preso per buono senza dimostrarlo: “Se una cosa viene dal Sistema, allora va bene”. La Scuola rappresenta il Sistema. Quindi, non è possibile metterne in discussione l’insegnamento.

Se, quindi, la Scuola ci ha insegnato che la Grammatica è condizione inalienabile per parlare una lingua, che partire dalle regole costruendo le frasi è condizione per parlare quella lingua, e quella lingua è quello, allora va bene così: ci crediamo. Fino a credere di essere negati se, messi di fronte alla lingua quella vera… non riusciamo non solo a interagire con fluidità, ma ad interagire anche al minimo! Quando, accendendo una televisione satellitare sulla BBC, ci arrivano solo suoni indefiniti, eppure abbiamo studiato inglese per anni, crediamo di non essere “noi” portati per quella Lingua. Quando, semplicemente, quella con cui abbiamo interagito per anni non è la lingua “vera”.

Anni fa una persona, leggendo un mio testo in Inglese, quando ancora anch’io ero vittima dell’insegnamento scolastico, anche se avevo capito che era sbagliato (rimuoverlo richiede anche i metodi giusti per farlo, e io non  li avevo: di fatto ho dovuto “trovarli”), aveva detto: “Non è inglese, è una lingua tradotta”. E aveva ragione, ripensandoci anni dopo, anche se allora avevo ritenuto il tutto un po’ “offensivo”. Diceva la verità!

Quello che impariamo a Scuola non è la lingua: è qualcosa che con la lingua “vera” non c’entra nulla. È una “lingua tradotta”, ma non è “la lingua vera”. E la mia lo era, anche se poi scrivevo così schede di Cinema e sunti di articoli. Ma non era una Lingua Vera. E ora lo posso ammettere con tranquillità: anche se, comunque posso dire, almeno qualcosa avevo provato a fare. Però, non era lingua vera. E se ora rileggo le schede in Inglese dei film che presentavo me ne rendo conto. La lingua vera è un’altra cosa. E, quando la approcciamo, scopriamo proprio non solo di non avere imparato nulla, ma di avere inserito, “grazie” alla Scuola, nella nostra mente dei blocchi, che dovremo eliminare.

È come una persona che, ormai, scrive con  i piedi: deve imparare a farlo con le mani. E, per poterlo fare, deve prima capire che quei piedi non servono per scrivere, ma per camminare.

Quando l’ha capito, tutto diviene facile e intuitivo. Basta cominciare ad usare le mani, e la scrittura diverrà rapidamente fluida e veloce.

Concludo parlando, ancora una volta, di me. Io ricordo molte cose che mi sono state insegnate a Scuola, e non solo. Una sola cosa ho rimosso quasi integralmente: ed è proprio la Grammatica. D’accordo, so cos’è un soggetto, un verbo, e qualcosa d’altro. Tuttavia, se qualcuno mi chiede cos’è, ad esempio, un avverbio, o un Complemento di Causa Efficiente, la risposta non è “immediata”, e per quanto riguarda la seconda richiesta, riprendendo la battuta fatta prima, potrei pensare che è quello che si verifica “quanto il trfeno è in orario”, altrimenti diviene “di causa inefficiente”.

Eppure, come vedete, scrivo articoli, scrivo libri, tengo conferenze e Workshop e altro ancora.

Questo dice chiaramente che conoscere la Grammatica non è la condizione per parlare una lingua: quello è un processo naturale, che non dipende dalla Grammatica. Quest’ultima, poi, se inserita su una lingua ancora “in formazione”, può essere, come visto, più un danno che altro.

E, proseguendo, ne diverremo sempre più consapevoli.

Questa Seconda Parte di questo lavoro è servita, almeno auspico, a comprendere, “toccando con mano”, come la didattica scolastica inserisca, oltre che blocchi, “false idee” su quelle che sono le nostre capacità. Quello che vi dicevo all’inizio di questo lavoro ha perfettamente “preso forma” in diversi casi tratti da episodi realmente accaduti, tra cui il mio.

Avrete anche capito che la Grammatica è solo uno dei tanti possibili  strumenti di analisi di una Lingua, del tutto arbitrario, che ha solo quella funzione. È un “a posteriori” del linguaggio, che la Scuola ha fatto credere essere un “a Priori”.

Avrete, quindi, spero, cominciato a capire che, se vi sentite “negati” per le lingue, probabilmente non lo siete, e, forse, siete addirittura portatissimi, e non lo sapete. Tutto, perché l’approccio che vi è stato fornito è non solo “bloccante”, ma del tutto innaturale.

Ora si cercherà di portarvi verso un approccio naturale e fluido di una lingua. Per farvi capire che entrare in nuovi meccanismi linguistici è, oltre che facile, anche molto divertente.

Nelle prossime parti scopriremo, innanzitutto, come funziona naturalmente la mente linguistica, recuperando in parte concetti già espressi, che vedremo sotto un’angolatura leggermente diversa: poi scopriremo come utilizzarli in pratica. Vedrete che tutto sarà semplice e rapido.

Vi auguro buon viaggio! E restare in contatto! Ora si comincia a fare sul serio!

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