SullaStradaDelVino racconta “Uva Fiera – Città dell’altra Economia” a Roma dal 3 al 5 dicembre

SullaStradaDelVino racconta “Uva Fiera – Città dell’altra Economia” a Roma dal 3 al 5 dicembre

Rubrica a cura della giornalista Susanna Schivardi e del sommelier Massimo Casali

Perché Uva Fiera? Il nome già lascia intuire l’esperienza che ci aspetta, un’immersione nel mondo dei vitigni meno conosciuti, di quelle che potremmo definire nicchie e varietà decisamente autoctone. La fierezza sta proprio nel portare avanti un prodotto poco commercializzato che sia però frutto di un lavoro attento sul territorio, condotto da piccole aziende, alcune giovanissime, oggi riunite qui grazie all’estro degli organizzatori dell’evento. Anche quest’anno stessa squadra, che vincente non si cambia.

Progetto nato dall’incontro tra La Pecora Nera Editore e Pasquale (Paki) Livieri, la prima è casa editrice indipendente attiva nella realizzazione di guide gastronomiche e Paki Livieri fondatore de Il Sorì e altre realtà della capitale, grande esperto di vini. Tre giorni intensi e concitati, dal 3 al 5 dicembre presso La Città dell’altra Economia, per ospitare i winelover anche nelle ore di pioggia assidua grazie allo spazio coperto a disposizione. I Vignaioli presenti sono tutti accomunati dalla stessa passione verso i vitigni meno noti, che producono in purezza, spesso da viti molto antiche, addirittura sopravvissute alla fillossera, e che esaltano una filiera attenta fin dal lavoro in vigna, con l’utilizzo al minimo di additivi e di chimica, e in cantina con predilezione per i lieviti naturali indigeni rispettando le caratteristiche varietali, per questo sono ammesse solo le aziende selezionate a monte che rispondano a certi criteri e non tutte quelle che fanno domanda per partecipare.  Noi ci siamo avvicinati ad alcuni di essi, andando a scoprire vitigni insoliti che sarebbe opportuno far conoscere al grande pubblico. Il motivo è semplice, perché sono delle varietà assai espressive del territorio da cui provengono, questo ci ha colpito, che in questi vini spesso si avvertono quei sentori capaci di raccontare la storia e la natura del suolo, senza filtri e senza contaminazioni.

Iniziamo da due vitigni noti perché amiamo la Sicilia e tutti i suoi prodotti quindi vi parleremo subito di Maenza, azienda di Camporeale, nel Belice, vicino Palermo, dove altitudine collinare (450 mt), correnti fresche, terreno ventilato ed escursioni termiche contribuiscono ad una grande espressività di Grillo e Catarratto, che l’azienda, utilizzando vigne tra i 15 e i 30 anni, imbottiglia dal 2019 e merita di essere menzionata. Lavoro famigliare di tre fratelli, di cui oggi incontriamo il più grande, Francesco, che ci offre il Catarratto Bèa, dal nome della sorella più giovane Beatrice, e Ohana il Grillo, che in lingua hawaiana significa famiglia. Grande la mineralità, la freschezza presente e una complessità più accentuata in quest’ultimo che rimane per 72 ore sulle bucce acquistando sentori di erbe di collina e agrume.

Andiamo a scoprire le nicchie e arriviamo nelle Marche a Fano, dove la titolare, Cecilia Sgammini, ci presenta Crespaia, giovane azienda biologica, che produce due Doc, Bianchello del Metauro e Sangiovese dei Colli Pesaresi. Ci troviamo a 3 km dal mare, altitudine di 150 mt, e terreni molto antichi come testimonia la Chiesa del ‘700 ivi presente, di proprietà di un prelato che qui aveva già le vigne. Dieci ettari per 4 etichette, suolo tufico che ritorna immediato nel bicchiere. Il Bianchello del Metauro del 2021 è un tradizionale vino bianco da accompagnamento di piatti leggeri di pesce o carni bianche, vino da condivisione, la sua mineralità si sprigiona immediata grazie ad un suolo rivolto prevalentemente a sud dove prende tanta sapidità marina. Al naso profumato con sentori in bocca di frutta croccante e pera.

Chiaraluce, il Superiore 2020, riposa 8 mesi sui lieviti autoctoni, si beve almeno un anno e mezzo dopo la vendemmia. Fa solo acciaio e al naso risulta complesso, in bocca sapido con note di camomilla, macchia mediterranea, il suolo materico conferisce buona persistenza e possibilità di abbinamento con formaggi stagionati.

Spostiamoci in Toscana per una piccola azienda, Le Rogaie, che imbottiglia da appena tre anni ma produce da vigne di oltre venti, su appena due ettari vitati e altri tre vitati da poco, che attendono di essere produttivi. Iniziamo con un autoctono toscano, il Ciliegiolo IGT, Banditaccia 2021, prevede raccolta a mano, fermentazione spontanea, 8 giorni di macerazione per un naso molto buono, in bocca acidità e freschezza equilibrate, grazie a tre mesi di acciaio e poi 6 mesi in cemento, molto coerente, tipica espressione del suolo, un rosso di facile beva con un tannino delicato che si accompagna bene ai salumi. A seguire il Forteto 2020, Morellino di Scansano DOCG, Sangiovese in purezza, con una gradazione alcolica di 14,5%, anche in questo caso solo cemento e già più speziato, un sentore di pietra focaia, straccio bagnato e vegetale sul finale, piuttosto persistente e dal tannino deciso. Buono per abbinamenti e una gradazione alta ma non invasiva.

Spostiamoci al Nord, per la Garganega, vitigno a bacca bianca che domina la Doc Soave e Gambellara, e incontriamo un trio perfetto che ci regala una bella panoramica sulla zona. Ci accoglie Alessandro Aldegheri di Aretè, azienda giovanissima a Colognola ai Colli, con la sua bottiglia di Aretè Soave Doc, da terreno calcareo, con 80% di Garganega e 20% di Trebbiano di Soave, condotto a pergola veronese, da piante di 60 anni. Una bassa resa promette ottima qualità a questo vino biologico, trattato con lieviti indigeni creati con metodo di raccolta a mano con selezione raffinatissima, al naso risulta fresco ed elegante, giovane in bocca e lievemente agrumato, ha ottime potenzialità. La Cantina Sòber propone oggi il suo Basalt Queen del 2019 da Durella e Garganega cresciute su suolo basaltico, fa cemento, non è filtrato ed è decantato a freddo. Complesso, sembra un blocco di sale, agrume intenso, screziature vegetali lo rendono estremo e molto particolare. Il Garganega Totale 2019 fa 8 mesi di macerazione sulle bucce, il colore è aranciato con vene rosate, e per 3 anni rimane in vasca. Il terreno estremamente vulcanico qui si esprime nella sua pienezza, attenzione a come abbinarlo.

Con la cantina Zambon arriviamo all’eccellenza, incontriamo Federico che racconta la sua passione nata da una lunga tradizione vitivinicola, perché tutto parte dal nonno e dal papà, profondi conoscitori di questo territorio dove ci troviamo, a Roncà poco sopra Soave, dove da dieci anni Federico produce e imbottiglia vino, concentrandosi su un terreno che definisce fantastico, dedicandosi all’ultrabio e al lavoro in cantina per raggiungere la massima sanità delle uve, grazie al piede rigoroso dei lieviti indigeni, con temperature controllate e decantazioni a freddo. Assaggiamo con estremo piacere il suo Soave Le Cervare Vulcano 2018, Garganega in purezza da suolo vulcanico (siamo proprio sopra un vulcano spento). Un 10% passa per la barrique e la bottiglia fa il resto. Al naso una pesca matura, confettura, frutta a guscio, la buona acidità promette longevità, all’assaggio il sorso è scorrevole e coerente al naso, sapido e interessante in abbinamento con piatti elaborati, è un bianco importante e non da tutti i giorni. Ricordiamo con grande gioia che queste uve provengono da un vigneto prefillossera, quindi conservato perfettamente grazie alla sapienza innata del nonno e del papà di Federico che hanno lasciato una bellissima eredità di cui prendersi cura.

Vi proponiamo adesso due chicche di Uva Fiera, consigliata dalla bravissima Saula Giusto che è ufficio stampa dell’evento, e per noi consiglia il Verdacchio di Terre di Sovernaja, raccontato da Federico, titolare dell’azienda. Il Verdacchio è un vitigno ritenuto un tempo estinto, poi qui è stato ritrovato un solo filare, e siamo a San Gimignano, dove si producono anche le altre varietà autoctone toscane. In assenza di metri comparativi precedenti, Federico ci ha messo undici anni a produrre questo vino, dopo ennesimi esperimenti. Il Sovernaja 2019 prevede un 50% che rimane30 giorni sulle bucce, e il restante invece fa una macerazione per sei mesi, non si aggiungono solfiti e affina un anno in vasche di cemento e un anno in bottiglia. La produzione limitata di 600 bottiglie e l’attesa come miglior soluzione per questo vino che risulta molto profumato, esprime un’acidità pronunciata per un corpo sapido e materico, molto interessante. Altrettanto vale per Viti Sparse, 2020 la Vernaccia di San Gimignano unica Docg bianca della Toscana, in purezza che fermenta 40 giorni in cemento e poi rimane in bottiglia per un anno, al naso ha un sentore sulfureo, poi si apre ad un bouquet molto profumato, in bocca si percepisce una pietra focaia, cenere, molto complesso, sicuramente da abbinare a piatti succulenti.

Altra nicchia della giornata il Roviello bianco nel Taurasi in provincia di Avellino, dell’azienda Cantine Fratelli Addimanda. Un vitigno anch’esso ritenuto a lungo estinto ma sopravvissuto qui nel numero di appena tre filari prefillossera (risalenti ad almeno 200 anni fa) da cui grazie alla tecnica della propagazione, l’azienda ha ricavato tre ettari. L’esistenza di questo vitigno autoctono risalirebbe addirittura al 1593, date le ultime ricerche che hanno ritrovato la nota di un noto commerciante dell’epoca, tale Giambattista Manzo, che avrebbe già documentato allora l’esistenza di questa varietà. Le tre viti rimaste, ci spiega Gianluigi, sono da ricondursi alla poca quantità di bianco che si produceva in passato, relegato solo alle grandi occasioni, mentre il rosso, si sa, era il vino di tutti i giorni. Oggi assaggiamo quindi Aciniell’ 2019, chiamato così per questa forma del grappolo dall’acino piccolo e spargolo, una lavorazione di solo acciaio e dalle caratteristiche decise, date anche da una surmaturazione delle uve. Il colore giallo intenso richiama al naso molto floreale, un ricco bouquet speziato che arriva in bocca coerente, intenso e molto sapido, con acidità e freschezza ben bilanciate. Ottima la longevità che può tradursi da questa varietà, se ben lavorata.

Grazie a Saula Giusto che come sempre pensa a noi e ci regala l’opportunità di partecipare agli eventi da lei organizzati.

***foto originali di Susanna Schivardi

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici e non ha mai ricevuto finanziamenti privati fino al Marzo del 2023.

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