Rubrica a cura della giornalista Susanna Schivardi e del sommelier Massimo Casali
LA STORIA, IL TERROIR E I VITIGNI
In collegamento da Neive, – paese dei quattro vini perché negli anni ’60 aveva già quattro vini DOC! – Fabrizio ci accoglie nella sua azienda, Francone, adagiata nel bel mezzo delle Langhe a due passi da Barbaresco. Qui colline felici e vitate fanno da sfondo ad un paesaggio preziosissimo, tanto da rientrare nell’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.
Non a caso a Neive si producono tra i vini più noti al mondo, dal Barbaresco, al Nebbiolo, alla Barbera e accanto troviamo anche un vitigno autoctono da poco riscoperto, la Nascetta, un cameo bianco tra i tanti rossi che regnano sovrani da sempre. Fra le bottiglie oggi in degustazione anche un ottimo Roero Arneis che ci ha stupito per forza ed eleganza.
Andiamo per gradi e diamo la parola al padrone di casa che inizia con un bel racconto, partendo proprio dalle sue origini, un vero langarolo da quattro generazioni di vignaioli, produttori di uve e di vino per i locali.
Tre sono le date che Fabrizio tiene a ricordare. “Nel ’39 fu il nonno a prendere la licenza da sua mamma per produrre il vino – una storia che prende il via dal trisnonno, contadino, che faceva vino come merce di scambio e poi dal bisnonno già proprietario di un’osteria – per arrivare all’anno 1964, prima vendemmia nella cantina nuova di Neive, che ancora oggi è il nucleo principale dell’azienda”.
Di fronte alla cantina, oggi ristrutturata, sorge questa magica collina chiamata Gallina, un luogo magico per le uve, dove i vari produttori si contendono gli ettari, e dove calcare e sabbia, abbracciati da un clima favorevole, regalano ai vini sentori magici.
L’intraprendenza della famiglia si affaccia all’hospitality, traducendo una parte di proprietà in agriturismo, nel 1997. Del resto, gli scambi con l’estero ormai si declinano in tutto il mondo, dall’America, al Canada, al Giappone e perfino Thailandia, grandi consumatori dei vini di Francone, che ormai si merita una fama internazionale. Un mercato ricco, come sottolinea Fabrizio che si occupa direttamente dell’export e dei rapporti con l’estero. Diplomato alla rinomata scuola enologica di Alba, si laurea in agraria a Torino e diventa enologo. Il battesimo della vendemmia risale al 1991, il momento del suo definitivo lancio e controllo sulla produzione. “Il periodo della vendemmia – ci dice con grande passione – è il più intenso. Respirare e immergersi prima nell’uva, scegliere il momento giusto della raccolta, tuffarsi poi nella fermentazione e nella svinatura, è un momento delicato di passaggio, una scelta che determina il prodotto finale. Lì i giochi son fatti, e da allora puoi solo rovinarlo!”. Commenta scherzando sul suo lavoro, ma sappiamo bene che c’è del vero in quello che dice!
Fabrizio come enologo si prende divertimenti e rischi, come ci racconta con la produzione delle tanto note “bollicine”, termine che lui non ama, e che la sua famiglia ha iniziato a produrre già con il nonno alla fine degli anni’60, un avanguardista dello spumante. “Nonostante l’azienda abbia ricca esperienza in merito, ancora prima delle mode esplose recentemente, – continua a raccontare – una quindicina di anni fa, abbiamo provato a migliorarci, tanto che adesso contiamo quattro metodo classico all’attivo”. Da una filosofia incentrata sull’affinamento lungo ancor prima della bottiglia, come il Brut 24 mesi, sono passati, spinti da una forte tendenza di mercato, ad un Extra Brut edizione limitata, 76 mesi e per festeggiare i 50 anni il Pas dosè, dedicato a Giovanni Battista Francone. Pochi litri tutti cuciti su misura.
Con il fratello Marco, enotecnico, e la preziosa supervisione del papà Mauro, il suo viaggio nelle Langhe è arduo ma ricco di soddisfazioni. Un viaggio iniziato da piccolo quando racconta “che non avrei potuto fare altro se non questo, i miei genitori si ricordano che ho mosso i miei primi passi nel cortile della nonna per andare a raccogliere un grappolo di moscato”. Negli anni questa terra non è mai cambiata ma si è dovuta adattare ad un nuovo clima “ho impresso ancora nella memoria il 1997, prima annata molto calda e miracolosa per il nostro Barbaresco, che grazie alla vendemmia anticipata – intuizione illuminante – si è meritato recensioni super!”. Complice il gran caldo, le vendemmie sono diventate lunghe anche fino a due mesi, sfinenti ma produttive.
Che cosa pulsa nel cuore di Fabrizio? Semplice, gli occhi brillano quando parla del Barbaresco, nonostante siano produttori di Barolo dal ’58 “che è come fare le Olimpiadi – dice scherzando – per noi però la vera sfida è riuscire ad interpretare un vitigno difficile e delicato come il nebbiolo da Barbaresco”.
E che dire dei bei Nascetta e Roero Arneis che escono dalle sue cantine? Il primo, Leonina, un vitigno autoctono dimenticato anni fa e poi diventato Doc, e il Roero Arneis che nelle mani di Fabrizio si trasforma in Magia – come indica l’etichetta – un vitigno che regala sudore e tribolazione perché “ha bisogno di cure straordinarie, pulizia, rigore, protezione dall’ossidazione e della mano di una persona che non dia chimica ma solo attenzione durante la pressatura, per mantenerne freschezza e fragranza”.
ETICHETTE
Da scelte accurate già fatte dal nonno, attraverso qualche errore di valutazione negli anni ’80, si ritorna ad uno studio attento delle etichette, grazie all’apporto di una grafica molto talentuosa, che ha studiato una variazione sul tema, dal classico dedicato alla linea I Patriarchi, per arrivare ad una deriva più moderna, diremmo quasi pop, tesa a raggiungere la fantasia di un pubblico più giovane. Si affacxciano sul mercato allora le belle grafiche di Leonina, la Nascetta, identificata come femmina, a cui si abbina l’immagine di una leonessa di spalle che esprime tutto il suo vigore nel risollevarsi dopo 100 anni di oblio, e di Magia, il Roero Arneis pensato come un mix di esplosione e garbo, per un disegno che al primo sguardo ricorda fuochi d’artificio ma poi rivela una suggestione di petali floreali. Come del resto l’Amorosa, Barbera d’Alba Doc, che non facendo legno si appropria facilmente del gusto dei neofiti, con una beva agile e di qualità.
Per regalarvi qualche assaggio di quello che l’azienda ci propone, passiamo alla degustazione, dove Massimo ci attende per raccontarci le sei bottiglie proposte oggi.
DEGUSTAZIONE
Ci lasciamo subito trasportare dallo spumante metodo classico Valsellera Brut Rosè che ci regala un’emozione rara. Un bel rosa tra buccia di cipolla e rame con un perlage fine e intenso. Portando il bicchiere al naso ad occhi chiusi, la fantasia viaggia tra la rosa canina e il lampone venati da una timida mineralità.
Al gusto percepiamo melagrana con punte agrumate, oltre a una soffice sapidità. Ottima la scelta della lavorazione sui lieviti che si percepiscono appena grazie alla decisione di un affinamento più lungo del vino base invece della cuvée in bottiglia. Con i suoi circa trenta mesi sui lieviti, questo spumante mantiene una freschezza che si sposa con tartine burro e alici oppure preziose ostriche.
Come secondo vino una tentazione già nel nome, Magia. Il Roero Arneis Docg dell’azienda. Espressione perfetta del terroir, troviamo la sabbia e la marna minerale che regalano sfumature sapide. Al naso è avvolgente ed equilibrato, con tinte balsamiche e speziate che strambano verso la frutta di pompelmo rosa, l’ananas e la pesca non troppo matura. In bocca quasi cremoso nasconde perfettamente i 14 gradi alcolici magicamente amalgamati a tutto il resto. La mineralità e la freschezza che tuttavia non mancano lo rendono equilibrato, armonico e fine. Fabrizio lo consiglia con un buon caprino di Roccaverano o comunque con formaggio di media stagionatura.
Siamo al terzo vino e incontriamo la bella Nascetta autoctona, la Leonina di Francone, un vero felino fiero della sua rivincita, dopo anni di inspiegabile oblio.
Con questo vitigno autoctono semi-aromatico piemontese, regaliamo al naso frutta a polpa bianca, immancabile la mela golden che cede presto il passo a pesca e a cenni di frutti esotici. Sullo sfondo a sorpresa il glicine e fiori bianchi con una leggera balsamicità addomesticano l’attesa del prossimo sorso. In bocca un’ottima mineralità e una buona freschezza inducono una piacevole salivazione. Questo vino è lungo, persistente e perfettamente equilibrato. Sarebbe un ottimo aperitivo con affettati gentili o con salmone selvaggio.
Con i rossi entriamo nella linea I Patriarchi. Linea classica che riannoda i fili del passato ad un presente in crescita, dove la piemontesità fa l’occhiolino ad una tradizione consolidata fin dagli anni ’60 quando a Neive già c’erano quattro Doc. Qui le uve sono tutela del Patrimonio Unesco ed esprimono un carattere superbo, declinato in vari termini sensoriali che si distinguono per unicità di profumi e sapori.
Andiamo ad approfondirne le caratteristiche con il primo rosso, la Barbera d’Alba doc, rude, testarda, caparbia e forte. All’occhio ci investe immediatamente con il suo rosso rubino brillante, al naso siamo invasi di fiori rossi e frutta non troppo matura, derive di ciliegia e prugna mentre spunta all’orizzonte una lieve punta ematica. Richiami invitanti di spezie, lievi cenni di cannella, chiodi di garofano e pepe nero. Arriviamo alla bocca con morbido equilibrio e tannini setosi. Un vino a tutto pasto che si presta bene ad aperitivi golosi di affettati e formaggi erborinati o anche ad un risotto allo zafferano con scaglie di tartufo d’Alba. Teniamo a precisare che i 14,5% alcolici di questa Barbera si camuffano irriconoscibili e non emergono se non in etichetta!
Il Langhe Nebbiolo doc a seguire, per apprezzare la linea autentica piemontese, il vero figlio del Tanaro, con il suo rosso granato scarico esprime tutto il suo carattere austero, qui siamo di fronte ad un naso di sotto spirito, in un bouquet tra amarena e sottobosco. Alla bocca i tannini gentili sono avvolti da sapidità e una freschezza ben presente, suggerendo abbinamenti succulenti come una fiorentina o uno spezzatino di manzo non troppo elaborato, per una delicata persistenza che vira alla balsamicità. Inequivocabili i suoi quindici mesi in botte di rovere e sei mesi di affinamento in bottiglia, una longevità esatta che lo condurrebbe ad ottimi risultati anche dopo dieci anni.
Chiudiamo il valzer con un protagonista assoluto dell’azienda Francone, il nostro Fabrizio potremmo davvero incoronarlo re del Barbaresco.
Oggi apriamo il Barbaresco Docg 2018 Gallina, la famosa collina dove i migliori produttori del posto si sono assicurati un lotto per produrre Barbaresco. Ma veniamo al nostro, perché per importanza e struttura non ha nulla da invidiare. Si apre al naso con fiori rossi e violetta, una sventagliata di prugna essiccata con frange di noce moscata, per virare verso la vaniglia ceduta dalla botte di rovere francese dove affina per ben diciotto mesi. Che dire della bocca, un’esperienza che consigliamo a tutti. La frutta si trasforma in freschezza che fa piacevolmente salivare, un sussulto di aromi dal cacao al tabacco, e il pepe nero a cornice di un tannino setoso e non aggressivo. I suoi gradi, 14,5% ce li aspettiamo ma non ne siamo travolti. Barbaresco perfettamente equilibrato e pronto, con una struttura corposa e forte di una lunga persistenza. Abbiniamolo volentieri con tartare di Fassona piemontese o anche con un’invitante bagna Cauda. Un gran bel bere!
**Foto originali dell’azienda
A cura di Susanna Schivardi per l’intervista e Massimo Casali per la degustazione
Prossimo appuntamento Lazio, con un’azienda che produce vini naturali. Non mancate e seguiteci sui nostri canali social:
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