Facebook: liberi. Di non esserlo…

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Di Sergio Ragaini

Pensando a Social Network quali facebook, noi pensiamo a strutture libere e aperte. Purtroppo, non è così, e la prima riflessione che lo fa capire nasce dalla considerazione che Facebook non è una “cooperativa di utenti”, bensì una struttura gestita da persone ed enti che sono ben lontani dagli interessi di chi ne fruisce. In particolare, saltano all’occhio i metodi ben poco “democratici” di questo Social, che comprendono divieti, blocchi, sospensioni, esclusione dalla vita del Social stesso. Credo che in uno spazio personale, e ancor più in un gruppo privato, nessuno, salvo casi gravissimi, dovrebbe permettersi di porre in discussione il contenuto dei post: la libertà di opinione deve essere un valore, e dove viene negata non vi è possibilità di comunicazione.

Ebbene sì: stiamo parlando del più importante Social Network esistente. A tal punto che qualsiasi altro tentativo di costruire qualcosa di alternativo è finito nel nulla. Anche “Google Plus” da qualcuno chiamato semplicemente “Google +”, che pareva, soprattutto nei paesi germanici, avere preso un buon “abbrivio”, è miseramente caduto sotto i colpi del colosso di Mark Zuckerberg.

Infatti fu proprio lui che, meno di 15 anni fa, ha dato vita a questo colosso che, oggi, conta centinaia e centinaia di milioni di utenti, che, attraverso di esso, scambiano milioni e milioni di messaggi al giorno, mettono “like” ai post, aprono gruppi, pagine, e così via.

I “Social” danno un bel senso di libertà, e di possibilità di comunicazione con il mondo. Attraverso questi si entra i contatto con mondi e realtà altrimenti impossibili anche solo da toccare. Si diffondono idee, pensieri, emozioni e sensazioni. Si diffondono sentimenti e si generano incontri allargati. Insomma: si costruiscono mondi virtuali che, poi, sfociano facilmente nella realtà tangibile, e ne divengono essenza e parte.

Tuttavia, parlavo proprio di “sensazione” di libertà. Se è vero, infatti, che il cuore non mente, le sensazioni possono mentire più spesso di quanto si possa pensare. Infatti, sono frutto di un bagaglio che abbiamo dentro di noi, e che contiene molto di più di quanto si possa pensare, estendendosi, talvolta, al di fuori della nostra stessa esistenza. Questo, però, è un altro discorso, che ci porterebbe a considerare la nostra via un “continuum” che va al di fuori della stessa esistenza limitata che stiamo vivendo, e che abbraccia un qualcosa di cui questa vita è solo una scintilla, che in un istante svanisce.

Andiamo invece ad evidenziare quello che network come Facebook (il discorso si potrà estendere similmente ad altri network come YouTube) sono in realtà. Come sempre la luce della consapevolezza e della conoscenza dissipa le tenebre dell’ignoranza, e fa capire le cose come davvero sono. E anche stavolta proveremo a comprendere più in profondità.

La prima osservazione che è bello fare è che questo Social non sono, come la sensazione potrebbe far credere, “cooperative di utenti”. Quindi non sono strutture che partono “dal basso”, dalle persone, che creare qualcosa. Anzi: con le persone queste strutture non c’entrano proprio nulla! Infatti, sono create a livello “verticistico” per l’uso delle persone.

È la stessa differenza che c’è tra qualcosa di “popolare”, che quindi nasce dal basso, come genuina emanazione della gente, e “per il popolo”, che , con una certa approssimazione, forse si può chiamare “populista”: vale a dire pensata per il popolo da qualcuno che, in fondo, non ha a cuore il Popolo, ma interessi personali, o di piccoli gruppi.

Certamente, chi costruirà una cosa “’per le persone” avrà tutto l’interesse a far credere che ogni regola, ogni norma, ogni struttura, sia a beneficio delle persone stesse. E forse qualcuno ci crederà. Smentire questo potrebbe essere facile ma non troppo: se chi emana queste “norme” è convincente, potrà far davvero credere che siano per le persone, per la loro sicurezza.

In questo periodo ne abbiamo un triste esempio: in nome della sicurezza sanitaria si stanno emanando norme da vero lager, che fanno della repressione e della coercizione il loro punto di forza e la loro bandiera. Le scuole attuali ne sono un esempio, ma anche teatri e altro, dove, ad esempio, la coercizione della mascherina raggiunge livelli paradossali e davvero oltre le violazioni dei diritti umani più elementari.

Proseguendo con il nostro discorso, queste strutture, costruite “per il popolo” da persone ed organizzazioni per le quali il popolo è solo una fonte di profitto personale, danno l’illusione di libertà, e possono essere usate in modo molto positivo. Tuttavia, nell’usarle, ci si scontra spesso con qualcosa che, si percepisce subito, non va nella direzione del contatto e del rapporto, ma va in direzione opposta. Facendo però credere che tutto questo vada nella direzione del popolo e delle sue esigenze. Anche questo è populismo.

In questo caso, mi riferisco ovviamente alle regole di questo Social: regole con le quali mi sono trovato a stretto contatto, talvolta stridente, sin dalla mia iscrizione, nel gennaio 2009. Erano altri tempi, visto il balzo in avanti che la tecnologia ha fatto in questi nemmeno 12 anni. Tuttavia, già allora si vedevano metodi non proprio ispirati a valori di democrazia e comprensione. Metodi che, dietro un’apparente slancio di libertà, nascondevano coercizione. In quei giorni correvano i tempi delle “disattivazioni degli account”. In pratica: si facevano troppo cose in un tempo concentrato e, quando si tentata di accedere… ci si trovava il messaggio: “il tuo account è stato disattivato”. Questo voleva dire perdere tutto quello che si aveva fatto in quel tempo: l’account non esisteva, di fatto, più. A quel punto, si poteva solo scrivere a Facebook, all’indirizzo email che veniva fornito, spiegando l’accaduto e sperando che l’account venisse riabilitato.

Se poi si riscontravano altre violazioni, la riattivazione non era possibile. E veniva comunicato: “This decision is final”, vale a dire “questa decisione è definitiva”. Questo dimostra che alla persona non era nemmeno data la possibilità di difendersi: veniva estromesso e basta. E, se sul profilo vi era del materiale, anche questo era perduto.

Poi questo problema è andato svanendo. Tuttavia, negli anni successivi, ne è giunto un altro: Facebook aveva deciso che non si potevano aggiungere, tra i contatti, persone che già non si conoscevano nella vita reale. Non ne vedo il senso: lo scopo di un Social Network è proprio quello di fare nuovi incontri. Imporre di aggiungere solo persone che si conoscevano era come ridurre la Community ad una sorta di “bar virtuale degli amici”, come scrivevo a quel tempo.

Allora, quando una persona riceveva una richiesta di amicizia, veniva visualizzato il messaggio: “Conosci questa persona al di fuori di facebook?”. Se la persona rispondeva no, chi aveva mandato la richiesta riceveva un messaggio del tipo: “Sembra che tu abbia inviato richieste di amicizia a persone che non conosci”. Ricordando poi che, in caso fosse avvenuto di nuovo, questa possibilità sarebbe stata disabilitata, per un certo tempo: un tempo crescente: prima 24 ore, poi 3 giorni, poi 7 giorni, poi 14 giorni, poi 30 giorni… ogni volta con l’avviso che, in caso di ulteriore violazione , la funzione di aggiunta amici avrebbe potuto essere definitivamente disabilitata.

Facebook ha sempre “brillato” per metodi autoritari, anche nelle modalità, portare a sentenziare e a punire piuttosto che al dialogo e alla comprensione.

Oggi anche questo problema sembra più lontano: tuttavia le sanzioni di questo network esistono, per motivi che non appaiono spiegabili. E che vanno oltre quanto detto prima: salvo in casi molto gravi, l’account non viene disabilitato. Tuttavia, per qualcuno potrebbe essere ancora peggio. Infatti, sono di fatto disabilitate tutte le funzioni che permettono l’interazione, quali pubblicare, commentare, aggiungere contatti. Anche un semplice mettere “mi piace” viene disabilitato. Insomma: si può solo osservare, ma non si può interagire. Nemmeno ad eventuali commenti a post da noi stessi inseriti. Una sensazione da me provata: ed ammetto che non è una bella sensazione:; si osserva, si vede, ma non si può interagire nemmeno con post a noi diretti. È come essere “invisibili”: vediamo, ma nessuno ci vede. E, spesso, l’invisibilità è la peggiore condanna, come appariva anche in un episodio della serie “Ai confini della Realtà”, dove si veniva, appunto, condannati all’invisibilità, le persone vedevano, ma non potevano rivolgere la parola a chi portava il “marchio dell’invisibilità”.

Nel nostro caso, se qualcuno parla male di noi, comunque siamo considerati, mentre se nessuno ci vede, di fatto non esistiamo. Qui la situazione è ancora peggiore: noi vediamo, le interazioni sui post che abbiamo precedentemente inserito sono visibili… tuttavia, non possiamo intervenire. Osserviamo magari critiche e cattive reazioni ai nostri post, ma non possiamo fare nulla.

A questo punto credo sia importante capire, almeno cercare di capire, cosa occorre fare di così grave perché questo accada. È presto detto: occorre creare anche un solo post che “non rispetta gli standard della comunità”. Cosa questo voglia davvero dire non è così facile da capire. Anche perché, tra le varie voci di violazioni possibili, emerge anche una voce strana: quella di “incitamento all’odio”.

Personalmente, non capisco cosa questo voglia significare: infatti, credo che si possa parlare di incitamento a commettere delle azioni, quali l’incitamento a delinquere, che è anche punito dal Codice Penale Italiano (Articolo 414). tuttavia, si tratta sempre di “fare” delle azioni: come si può pensare di “incitare qualcuno a provare un sentimento?”.

Eppure questa è una delle violazioni considerate più gravi da Facebook. La “vaghezza” con cui questo è esposto permette a Facebook di sanzionare con il nulla, anche quando non si invita “materialmente” a compiere azioni.

Un esempio: io ero stato sanzionato con una sospensione dalle attività di Facebook di 24 ore per avere scritto: “Meglio Hitler o Conte? Non so: in effetti si assomigliano”! Ecco, questa semplice e, tutto sommato, banale frase è considerata “incitamento all’odio”. Proprio perché l’affermazione “incitamento all’odio” non significa nulla, qualsiasi post potrebbe essere considerato tale. Ad esempio, un semplice “parlare male di un Governo” potrebbe essere considerato incitamento all’odio.

È interessante, qui, vedere poi come alla persona non sia data alcuna possibilità di difendersi. In qualsiasi democrazia una persona, prima di subire una condanna, ha diritto di difesa, oltre che di opposizione e di ricorso.

Qui questa possibilità c’è, ma è solo fittizia. Alla persona a cui viene comunicata la “punizione” sono offerte due possibilità: accettare la decisione o non essere d’accordo. Nel caso in cui la persona scelga la seconda opzione, non è data alcuna possibilità di spiegare. Di conseguenza, qualche minuto dopo, solitamente meno di dieci minuti, giunge il messaggio: “abbiamo controllato nuovamente il tuo post e confermiamo che viola gli standard della comunità”.

Da quel momento in poi, scatterà la sanzione, e sul profilo della persona, solo a lui, sarà visibile, relativamente a quel post “incriminato”, la scritta “chiuso”: più o meno  come la prima citata “decisione finale”.

A questo punto ci chiediamo: come fa Facebook, tra milioni di post, a sapere che il nostro “viola gli standard”? Ebbene: ogni utente ha la possibilità di “segnalare” i post sospetti, indicandone i motivi. Non credo che Facebook si occupi nemmeno di controllarli: dopo un po’ di segnalazioni (non ho idea di quante) scatta la sanzione. Insomma: se una persona sta antipatica a più persone, e queste gli segnalano i post, la persona si trova delle sanzioni, quando magari i suoi post riguardano il colore dei prati a primavera. Almeno così appare. 

In particolare, post che possono “dare fastidio”, sono trattati in questo modo. Ricordo uno studioso, anni fa, che era stato addirittura sanzionato con 30 giorni di sospensione per avere pubblicato uno studio in base al quale la Resurrezione di Cristo non era mai avvenuta. Il titolo del post: “Barabba era Gesù”. Una riflessione motivata e frutto di studi, che non può essere censurata e sanzionata.

La cosa incredibile è che alla persona non è stata nemmeno data la possibilità di spiegare e difendersi.

Comunque, mi verrebbe da dire “c’è gente che ha del buon tempo”. Nel senso che andare in giro per  un social a segnalare post mi sembra almeno denotante tendenze sadiche.

A meno che queste cose siano del tutto volute. In questo periodo di “Dittatura Sanitaria”, infatti, Facebook ha istituito le figure dei “Fake Checker”, vale a dire dei “cacciatori di notizie false”. Questi hanno il compito di scovare notizie non vere, in particolare in merito al Sars-Cov2, l’argomento del momento.

Che poi siano vere o non vere è a discrezione loro: il loro parere appare insindacabile.

Il mio dubbio quindi è: e se ci fossero figure di persone che vanno a controllare i post, per vedere che non rispettino gli standard della Comunità? Anche questa è una possibilità! In fondo, perché una persona dovrebbe andare a leggere i post che non sono sul diario di persone appartenenti ai suoi contatti? Di recente, io, che ho una visibilità “aperta” (vale a dire che i miei post sono visibili a tutti, e non solo ai miei contatti), sto ricevendo dei commenti ai miei post pieni di insulti da parte di persone che non sono tra i miei contatti. Come mai? Da dove vengono?

Quindi, mai come ora, sono convinto che esistono figure, non dichiarate (oppure sono gli stessi “fake checker”) i quali hanno come compito quello di controllare i diari, in particolare delle persone che, come me, hanno molti contatti (e quindi molta visibilità), per verificare che “non violino gli standard della comunità”. Cosa che, nella maggior parte dei casi, ho verificato voler di fatto dire: “Violano gli interessi di coloro che gestiscono il Social Network”. E sempre più credo che sia così, in particolare su alcuni argomenti.

Vorrei però riflettere su una cosa: un diario (prima si chiamava bacheca) è uno spazio personale. E come tale, credo che la persona abbia il diritto di pubblicarvi quello che desidera. Sarebbe come questionare sul colore delle pareti di una casa di una persona: è uno spazio suo, quindi può gestirlo come meglio ritiene. Ovvio che chi ad imbrattare uno spazio pubblico debba essere sanzionato: tuttavia, la sua casa è uno spazio dove può, credo, fare quello che vuole.

Nessuno è obbligato a leggere i diari degli altri: di conseguenza, se quello che una persona scrive non piace, basta che si rivolga altrove. Le sanzioni possono avere un senso se la persona insulta altri, o con altri interagisce in maniera scorretta. Ad esempio, dovrebbe essere sanzionato chi insulta un’altra persona, magari nemmeno tra i suoi contatti, come a me è successo. Eppure, a queste persone non viene detto o fatto nulla. Invece, se come è capitato a me, si paragona Hitler a Conte, o si parla male della ministra Azzolina, sul proprio diario, che è uno spazio personale e privato, si è sanzionati con “assenza forzata da Facebook”. Anche qui, come dicevo, il tempo è crescente: si parte con 24 ore, poi con 3 giorni, con 5… sino a 30 giorni.

Il proprio diario, come dicevo, è uno spazio personale, che non deve essere sottoposto a censura. A meno che non si facciano cose terribili al suo interno. Per il resto, credo che ognuno debba avere il diritto di manifestare le proprie idee.

Similmente, e ancora più gravemente, si può dire dei gruppi, in particolare quelli privati: a meno che il gruppo stesso non sia contrario ad un’etica generale (ad esempio, se un gruppo dovesse promuovere la pedofilia o l’odio razziale) deve spettare solo ai moderatori e agli amministratori il censurare e cancellare post, sanzionando chi li mette anche con l’allontanamento del gruppo. Non credo che qualcuno si possa permettere di questionare sui post che vengono inseriti al loro interno. Farlo, vuol dire negare la libertà di espressione. E addirittura permettersi ingerenze in spazi privati: questo non può accadere.

Mi sembra, purtroppo, che questo facebook lo faccia molto spesso. E ben al di là delle sue competenze. Che poi la scusa sia quella di proteggere, è ovvio. Tuttavia, sappiamo bene che chi vuole proteggere in realtà vuole limitare. Pensiamo ad esempio, che anche durante il lockdown, che ha violato ogni diritto umano, la scusa era l protezione. E credo che gli intenti fossero ben altri!

Riferimenti:

Come evitare i blocchi di facebook:

Gli standard della Community di facebook:

https://www.facebook.com/communitystandards/

Contenuti non consentiti su Facebook:
https://www.facebook.com/help/212826392083694

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici e non ha mai ricevuto finanziamenti privati fino al Marzo del 2023.

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