Itinerari Laziali – Casal Pilozzo: il vino, la storia, la passione

Itinerari Laziali – Casal Pilozzo: il vino, la storia, la passione

Rubrica di Susanna Schivardi e Massimo Casali – Foto di Susanna Schivardi – Video intervista di Susanna Schivardi

A pochi chilometri da Roma, incontriamo Antonio Pulcini, titolare e proprietario dell’azienda Casal Pilozzo, “un tempo proprietà della famiglia Bottai – ci facciamo subito raccontare dal protagonista di oggi  – ma  ancora prima, nel periodo in cui la villa fu affittata a Cinecittà, utilizzata da Orson Welles e Tyron Power, mentre, in epoca romana, dimora di sorella e nipote dell’Imperatore Traiano”.

Scavata nella roccia vulcanica e tufo, la struttura ricalca esattamente le orme del passato, valorizzando i cunicoli, i passaggi stretti e le nicchie dove oggi sono a riposare le numerose bottiglie dell’azienda. Il nome pilozzo di dubbia origine è forse da riferire al lavatoio, presente nelle vicinanze e dove Antonio ricorda di aver trascorso tante giornate a fare il bagno mentre la madre lavava i panni.

Ci inoltriamo attraverso la grotta che come ci racconta il proprietario, è in realtà in piano e non scende verso il basso. “La temperatura è costante sui 15 gradi e permette una stabilità perfetta al vino”. Antonio si è fatto carico di ristrutturare le parti fatiscenti, con il dubbio e la paura di non potercela fare. Invece il risultato è straordinario.

Antonio Pulcini

“Mio bisnonno era vignaiolo, mio nonno anche e così mio padre, sono figlio di una botte e non di una donna”.

Ecco Antonio Pulcini che descrive se stesso, raccogliendo in una manciata di parole molto più di quello che mille trattati potrebbero spiegare. Il padre faceva il carrettiere a vino alle trattorie, portando enormi botti piene di vino che tutti bevevano in grandi quantità, durante la giornata mentre si stava nelle osterie a giocare a carte.

Però Antonio si è evoluto da questo affresco ormai in via di estinzione e racconta “mi occupo personalmente di tutto nel vigneto, sono agronomo ed enologo, faccio prove, sperimento e ascolto la natura cercando di non alterarne gli equilibri”. Dall’anno 1987 produce vino, sfornando bottiglie di grandissima qualità. Ascoltando il terreno bellissimo che lo circonda, a 350/400 metri sul livello del mare e da dove si può vedere tutta Roma.

Oggi non ci sono imperatori ma la famiglia di Antonio è numerosa, composta dal figlio Claudio e dal nipote Andrea, futuro agronomo, e poi dalla figlia Carla che ha disegnato le etichette delle bottiglie. Tutti instancabilmente lavorano, facendo diventare questi terreni una fucina di oro biondo e rosso, piantando Malvasia del Lazio, Grechetto Antico e Chardonnay per i vini bianchi; Pinot Nero, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah per i rossi.

“I vini dei Castelli sono stati sempre di bassa qualità – ci spiega – si beveva molto e male, invece adesso si cerca una qualità superiore. Ho iniziato per questo già nell’85 a vendemmiare a verde, ossia selezionare i grappoli in pianta, e tutti mi prendevano per matto”. Antonio è gagliardo, verace, molto spiritoso, il suo spirito incarna il prodotto che proviene dalla sua sapienza curata e coltivata facendo molto e studiando sul campo. Ha sfruttato da subito i ceppi del Lazio e oggi ci fa assaggiare una Malvasia eccezionale.

Ci sediamo nella cantina, al fresco delle mura vulcaniche che incorniciano un pomeriggio insolito. Arriva anche il nipote di Vittorio, prima non vuole sedersi con noi, poi ammicca e cede e diventa un ottimo compagno di bevuta.

La malvasia del ’94 scende giù come nettare, è perfetta, non ha un difetto, una sbavatura con una freschezza che nasconde assolutamente le 26 primavere passate. Ciò significa che Antonio riesce a sfruttare le sue piante al massimo strappando qualità già dal giorno successivo alla vendemmia. E’ fiero di questa Malvasia e ci mostra i numerosi riconoscimenti ricevuti negli anni, per esempio come quello del 2011, in Piemonte, ricevuto in una degustazione alla cieca come miglior vino italiano dell’anno. Oppure il Bronze Winner del 2002, premiando un Pinot Nero, a Londra, mai successo prima. Ci racconta anche il coraggioso sforzo di provare un vitigno particolarmente difficile, soprattutto a questa latitudine, come il Pinot Nero , sforzo ripagato da un risultato eccellente.

“L’uso del legno, nei vini rossi, è piuttosto limitato – continua Antonio – perché non amo quel sapore forte che rimane in bocca, così facciamo un passaggio anche in acciaio per stemperare il sapore di legno”. Antonio ci offre un assaggio direttamente dal silos in acciaio dove ha un Cabernet del 1993. Meraviglioso.  Nella cantina troviamo bottiglie preziose come il Sancristiano di Pinot Nero e Cabernet Sauvignon, della vendemmia del 1993 e in vendita anche a 70 euro a bottiglia. Più avanti troviamo il Dedo, Cabernet franc e Merlot, taglio bordolese. Esiste anche una riserva personale che utilizza in momenti speciali con la sua famiglia.

Tra il vino e la storia, arriviamo anche in una piccola cappella che ha il sapore di un ritrovamento archeologico importante. “La Cappella potrebbe essere paleocristiana, forse di culto mitraico o pagano – ci spiega Antonio con curiosità e rispetto – i disegni sull’altare riconducono forse ai fiori di fava, il cui fusto è vuoto e, secondo la leggenda, sarebbero il cordone ombelicale tra i vivi e i morti”.

Tutto in questa cantina suscita stupore, come anche alla fine del percorso, troviamo un cunicolo stretto che i romani usavano per raccogliere l’acqua da mandare alla cisterna sottostante. Ancora oggi il passaggio è aperto e una volta Antonio, entrandoci, è dovuto tornare indietro gattonando di spalle perché all’interno “è così angusto che non ci si riesce a girare.

Tornando alla luce, ripercorriamo le numerose bottiglie, tra cui Passione un passito di Malvasia, che “quando lo bevi toglie un sacco di pensieracci”. Poi notiamo un’etichetta diversa dalle altre, del bianco Colle Gaio, più geometrica e colorata. “Questo è un omaggio di Rosemary, moglie del nostro agente in Inghilterra ormai scomparso, e che nel ’90 in un evento  è stata premiata come miglior etichetta in esposizione”.

L’estero lo ripaga di tanti sforzi, i suoi agenti spaziano dall’Inghilterra agli Stati Uniti, passando per la Germania e da poco anche in Francia, terra difficilissima per gli abitanti ma perfetta per il vino. La Cina è ancora da inquadrare, viaggia tra il desiderio di spendere e bere buon vino ma anche la tentazione di investire nel vino meno di quanto sarebbe opportuno.

 Antonio è anche stato chiamato in Venezuela per una consulenza, un grande onore per uno come lui che senza aver studiato è diventato un esperto del vino. Usciamo verso la vigna, assaggia gli acini, i grappoli sono pronti, tra una settimana si vendemmia. I suoi prodotti, presenti in tanti ristoranti romani, a prezzi anche esorbitanti, sono lo specchio di quello che il Lazio sta producendo, da qualche anno a questa parte, tentando una scalata verso l’alto che finora non era mai stata programmata sistematicamente. La cattiva nomina dei vini laziali forse sta avendo un cambio di rotta, e Antonio è uno dei protagonisti di questa maratona, con un rispetto costante verso la natura e il suo corso. “Inutile mettere troppo mano nel vino, perché bisogna partire da una buona materia prima, non usare la chimica e lasciare anche che la natura faccia il suo lavoro, intervenendo il meno possibile”.

Dopo questo tempo trascorso con Antonio Pulcini ormai è giunta l’ora di avviarci verso Roma, dando prima però un ultimo sguardo al bellissimo paesaggio che si profila di fronte a noi.  Riportiamo a casa anche una buona grappa, prodotta da Casal Pilozzo, con una lavorazione che si concentra sulla fase intermedia della distillazione, eliminando la testa e la coda, e anche una marmellata al vino, chissà che anche questa non sia alcolica e faccia passare i cattivi pensieri!

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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