Intervista di Carlo Faricciotti
Fabio Testi, 84 anni il 2 agosto solo all’anagrafe, molti meno nella realtà, dal 3 luglio sarà nelle sale con Reflection in a Dead Diamond, il film numero 105 della sua carriera. L’abbiamo incontrato per parlare non solo del lavoro diretto da Hélène Cattet e Bruno Forzani e di cinema, ma anche di poesia e dolorosa attualità. E del futuro.
Partiamo da Reflection in a Dead Diamond, una spy story ambientata tra i nostri giorni e gli anni Sessanta
La storia ricalca un po’ quello che era il cinema di genere degli anni Sessanta e Settanta. Io sono John D., un ex agente segreto che si è ritirato in Costa Azzurra, in un bellissimo hotel di Nizza. Caso vuole che si invaghisca di una sua vicina di stanza, una ragazza affascinante e misteriosa che gli ricorda i suoi anni ruggenti proprio in quei luoghi. Quando la donna sparisce misteriosamente, John, o meglio la sua mente, comincia a vacillare.

In che senso?
Il film praticamente è tutto in flashback: il protagonista non riesce a capire se stia sognando, se stia rivedendo una delle sue avventure oppure se stia prevedendo quello che potrebbe avvenire. Assistiamo a un’entrata e un’uscita dal tempo reale, è un presente continuo che sfuma nel passato. Come dicevo, in Reflection in a Dead Diamond c’è moltissimo cinema di genere. Anche la colonna sonora riecheggia quel periodo, per non parlare del lavoro tecnico: scenografia, inquadrature e così via.
Quindi sul set si è sentito a casa, visto che lei è stato un re del cinema di genere
Con una differenza importante: in questo film non c’è dialogo, solo pochissime parole. È stato un po’ faticoso, ma anche magico. Reflection in a Dead Diamond è stato presentato al Festival di Berlino e in altre kermesse.

E a proposito di festival, lei è appena stato presidente di uno di essi, il Garda Cinema Festival. Un’esperienza diversa dal solito?
Molto diversa e molto bella. Per una volta non ero davanti alla macchina da presa, ma ero tra quelli che giudicano il film, un cambio di ruolo abbastanza importante. La cosa più emozionante è stato essere a casa, visto che sul Garda ci sono nato, a Peschiera, e lì ho iniziato a recitare, come comparsa, nei film di pirati e d’avventura che si giravano lì. Come giurato o invitato sono stato in tutto il mondo, ma esserlo a casa è stato diverso, più emozionante, come dicevo.

Cosa augura al Garda Cinema Festival?
Che aumenti sempre più di valore perché è molto bello. Mancava, ci voleva un festival così, che sia di stimolo, di ricerca per i giovani, che offre la possibilità ai giovani di confrontarsi, di conoscere, di sapere. La nostra industria cinematografica ha bisogno dei giovani.
Giovani e spettacolo dal vivo. Il suo “Concerto d’amore in versi”, in cui recita poesie di Garcia Lorca, Merini, Prévert, Neruda, è molto apprezzato dal pubblico, anche quello non maturo. Come si spiega il successo di un progetto che fa leva sulla poesia?
Sono tre anni che lo porto in giro per l’Italia. Vado dove ci chiamano, a me e ai miei musicisti. Andiamo nelle cattedrali, nei teatri, nei conventi. ovunque. Sarà il momento storico particolare che viviamo, sarà la bellezza dei testi, ma quando vedo che i giovani, i giovanissimi, seguono queste poesie d’amore in maniera quasi religiosa, in un silenzio profondo, partecipe… mi commuovo. Viviamo strani giorni, come cantava Battiato…
Giorni in cui si innalzano dappertutto muri fatti di odio e di morte. E noi invece parliamo d’amore, soltanto d’amore.

Peraltro nel prossimo anno scolastico, se nulla cambia, dovrebbe tornare in vigore lo studio delle poesie a memoria. Cosa ne pensa?
Penso che sia giustissimo. Anche perché è una maniera per allenare la memoria: la memoria è come un muscolo, chi fa teatro lo sa bene. Tenere in esercizio la memoria torna sempre utile, un domani, nelle piccole come nelle grandi cose.
Parliamo ancora di memoria e di festival, Quasi un anno fa, alla Mostra del Cinema di Venezia, sollevò un cartello con la richiesta di fermare il massacro dei bambini a Gaza.
Un massacro che si sta perpetuando ormai da anni, una cosa allucinante. A Venezia mi sono sentito in dovere di protestare, di fare qualcosa. E nessuno, dico nessuno, mi ha assecondato perché avrebbe voluto dire mettersi contro il pensiero unico che domina oggi.

Lei è anche parte di un’organizzazione che si chiama Celebrities4Palestine.
Si tratta di un movimento per fermare il massacro nella Striscia dei bambini e non solo di loro. Per fortuna sta avendo una buona visibilità.
Tornando a quel cartello…
Ho tre figli e quattro meravigliosi nipotini e non riuscivo a dormire la notte pensando a quei bambini colpiti alla testa, allo stomaco, dai cecchini. E allora ho deciso di fare qualcosa. I miei amici, ma anche i familiari, non volevano, mi dicevano “Fabio, rischi che poi ci siano ritorsioni contro di te”. Ma io non ho dato retta a nessuno. L’ho fatto perché la mia coscienza me lo imponeva. Io non voglio dire chi ha ragione e chi ha torno, ma non c’è ragione al mondo per ammazzare degli innocenti, non c’è nessun pretesto al mondo che giustifichi il fatto di ammazzare dei bambini, affamarli e ammazzarli. Io protesto oggi perché non vorrei che un domani la storia scrivesse che non ho fatto niente.

È pessimista o ottimista?
Pessimista, purtroppo. Non vedo una soluzione. Però almeno facciamo un tentativo, protestiamo. Prévert dice che l’unica cosa che ci salverà è l’amore. Una sua poesia finisce proprio così, parlando dell’amore: Più tardi, più tardi, di notte/Nella foresta del ricordo/Sorgi improvviso /Tendici la mano/Portaci in salvo. Un altro testo che recito nel mio spettacolo è di Refaat Alareer, un poeta, professore universitario e attivista palestinese ucciso due anni fa nella Striscia di Gaza. Lui se lo sentiva che sarebbe stato ammazzato e ha scritto questa poesia pensando a sua figlia. S’intitola Se dovessi morire. È stata tradotta in centinaia di lingue ed è un grido sì, ma d’amore.
Come nella vita, passiamo a un argomento più leggero. Lei è considerato uno degli attori più belli e affascinanti del cinema italiano. Qual è la sua pozione magica?
Essere in armonia con sé stessi. Penso sia la cosa più bella del mondo. Non avere complessi, vivere in semplicità, senza maschere. Oggigiorno la paura più grande dell’essere umano è quella di non essere scelto. Allora indossiamo le maschere, mettiamo su qualsiasi cosa per apparire quello che non siamo, per essere scelti.

Altri progetti in corso?
Sto preparando un film con un regista italiano che vive e lavora in Los Angeles. Un film sugli alieni. Solo che stavolta gli extraterrestri sono quelli che vengono a salvarci da questo inferno dove stiamo vivendo, dal Medioevo in cui ci troviamo. Vedremo se riusciremo a farlo: il cinema è molto fluttuante, i progetti sbocciano e sfioriscono velocemente.

Ultima domanda: cosa farà da grande?
Ho promesso alla mia nipotina più piccola che quando compirà vent’anni la porterò in motoscafo in bikini e lei e io faremo morire tutti d’invidia.
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