Generazioni a confronto: «La sostenibilità è una chiave per valorizzarle»

Generazioni a confronto: «La sostenibilità è una chiave per valorizzarle»

Di Valerio Zafferani

Per comprendere a fondo il tema della sostenibilità è importante partire dall’analisi della complessità generazionale che popola la nostra società. Nel precedente articolo abbiamo fatto riferimento al patchwork, un manufatto costituito da un’unione di tessuti e colori che è ben rappresentativo, metaforicamente, della società odierna.

Mai come oggi, infatti, risultano attive ben sei generazioni: i Silent (i nati fino al 1945), i Baby Boomers (nati tra il 1946 e il 1964), la Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980), la Generazione Y o Millennials (nati tra il 1981 e il 1996), la Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2009) e la Generazione Alfa (nati dal 2010 ad oggi).

Da un punto di vista commerciale tutte queste generazioni hanno oggi potere di acquisto o influenza sul potere di acquisto di altri. Se prendiamo in considerazione gli estremi, Silent e Alfa, solo una lettura superficiale li potrebbe considerare, vista l’età, fuori dal circolo economico degli acquisti. Infatti, a monte abbiamo gli appartenenti a quella longevity economy che non nega ad un ultra-ottantenne in salute di godere di prodotti o servizi non dedicati esclusivamente alla vecchiaia.

Mentre a valle abbiamo dei giovanissimi nativi digitali che stimolati dai social network si influenzano tra loro e ‘spingono’ i genitori ad acquisti che, molto probabilmente, ai ragazzi appartenenti ai ‘boomer’ sarebbero stati negati da un atteggiamento educativo più rigido (educazione che i Millennials, tendenzialmente genitori dei nati nella Generazione Alfa, non interpretano allo stesso modo).

Ma è indubbio che l’approccio agli acquisti sia estremamente diverso. Mentre per le vecchie generazioni vi è un legame con brand che si sono affermati grazie alla pubblicità, o al massimo il legame è con brand che offrono un’esperenzialità di acquisto, a partire dai Millennials fino alla Generazione Z e oltre, ciò che genera valore è il coinvolgimento con un brand (l’engagement).

L’azienda, quindi, non può più limitarsi ad un rapporto unidirezionale con i propri clienti ma li deve coinvolgere spingendosi, ove possibile, fino alla co-creazione di prodotti o servizi.

Lo spunto degli atteggiamenti commerciali è utile per arrivare ad analizzare il rapporto che le diverse generazioni hanno con il mondo del lavoro e delle imprese. E non è azzardato comprendere nel ragionamento anche il comportamento da cittadini, nella considerazione che oggi non siamo più semplici consumatori ma individui che acquistano e prendono decisioni essenziali su basi sempre più emozionali e di consapevolezza, piuttosto che di natura materiale o primitiva (non mangiamo più per fame – sic et simpliciter).

Ma perché tali evoluzioni generano dinamiche che coinvolgono la sostenibilità?

L’avvento di Internet, mediamente accessibile dalla seconda metà degli anni ’90, e l’affermarsi dei social network, dopo circa dieci anni dall’entrata del nuovo secolo e a dispetto di un fenomeno che in principio sembrava solo una moda, hanno dato una spinta definitiva alla globalizzazione. L’interconnessione globale ha così cambiato inesorabilmente il modo di interagire e comunicare tra le persone. Quante volte abbiamo sentito dire che i giovani non hanno più voglia di lavorare? Quante volte abbiamo sentito le aziende lamentarsi perché non riescono a trovare personale? Quante volte abbiamo visto persone giovani congedarsi dai posti di lavoro nonostante uno stipendio congruo e pagato con puntualità? Questo, appunto, è un problema di sostenibilità.

Gli imprenditori, infatti, spesso non riescono a mettere in discussione il paradigma del rapporto col dipendente continuando ad interpretarlo come se le generazioni si fossero fermate ad un’epoca pre-Internet, utilizzando un metro comunicativo distante e non inclusivo. Un’azienda che non risulti attrattiva sul mercato per i potenziali dipendenti o non sia capace di trattenere gli assunti è un’azienda che alla soglia del 2030 correrà il rischio concreto di andare in difficoltà per perdita di capacità d’innovare e conseguente competitività, fino alla carenza vera e propria di personale. Ed ecco che a fianco della prima definizione di sostenibilità, come da Rapporto Brundtland del 1987, se ne affianca una che coinvolge direttamente l’impresa: sostenibile è l’azienda che crea un modello di business durevole nel tempo, con una compliance organizzativa efficiente e che sappia coinvolgere in modo attivo ed inclusivo i propri dipendenti, ossia gli stakeholder per eccellenza.

Ecco, quindi, dove la comunicazione interna d’impresa assume un ruolo determinante per trasferire i valori culturali ed organizzativi legati alla sostenibilità del business.

Ed ecco che i dipendenti possono essere parte attiva del processo, che non necessariamente deve essere top-down ma possa essere anche bottom-up, in un dialogo tra le parti che superi le differenze di generazione e di ruolo e tenda ad amalgamarle valorizzando le diverse conoscenze. Tale dinamica sostenibile risulterà utile non solo all’impresa ma a tutto l’eco-sistema che ruota attorno ad essa, sia sociale che ambientale.

***Per gentile concessione dell’autore e dell’editore di Umbriaon.it

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici e non ha mai ricevuto finanziamenti privati fino al Marzo del 2023.

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