Se il senso civico si ribella – Il tesoretto infame e l’ingiusta umiliazione

Se il senso civico si ribella – Il tesoretto infame e l’ingiusta umiliazione

Di Padre Maurizio Patriciello

La notizia ci arriva come una picconata in testa; peggio, come una pugnalata al cuore. Il senso civico che ci abita si ribella, non ne vuol sapere di ritirarsi a vita privata; la sete di giustizia ci consuma, e non da ieri. C’è qualcosa in noi, oggi, che barcolla, arranca, chiede aiuto. Quando davanti all’ingiustizia palese, beffarda, non puoi fare niente perché il codice non te lo permette, il diritto ti dà torto pur sapendo che hai ragione.

Quando lo stato democratico e civile rimane vittima di se stesso. Quando il cinismo la fa da padrone, verrebbe da dire: basta, basta, non ne vale la pena; è meglio, una volta per tutte, liberarsi dalle vane illusioni e mettersi in riga. Se accadesse però sarebbe come rinunciare alla pelle che ti porti addosso. Allora non resta che lanciare un ultimo, angoscioso grido… Ma che succede? Ricordate il dramma Terra dei fuochi?

Ricordate la campagna martellante che “Avvenire” combatté con noi e per noi contro tutto e tutti? Ricordate le piccole vittorie ottenute grazie all’impegno dei volontari – cari, cari volontari, grazie di tutto, siete il sale di questa nostra terra insipida, la bonifica di questo territorio avvelenato, il balsamo che lenisce le ferite, il volto bello di un mondo malandato – che di giorno e di notte, come esperti cacciatori in cerca della preda, andavano scovando, fotografando, denunciando roghi tossici, discariche abusive, siti gonfi di rifiuti industriali?

Bene, tra gli altri furono condannati in via definitiva per disastro ambientale i fratelli Pellini, di Acerra: due imprenditori e un carabiniere. Nell’occasione vennero loro confiscati beni per più di 200 milioni di euro. Duecento milioni di euro, in un territorio dove la gente fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Dove la lista dei morti per cancro si allunga di giorno in giorno, anche grazie al dramma ambientale e a un servizio sanitario che lascia tanto a desiderare.

Quanti, quanti nostri cari parenti e amici abbiamo dovuto accompagnare in questi anni al cimitero? Quanti funerali abbiamo dovuto, noi preti, celebrare con la preghiera sulle labbra e la rabbia nel cuore? Bene, c’è il rischio più che fondato adesso che ai fratelli Pellini i beni loro confiscati vengano restituiti per decorrenza dei termini. I volontari monitoravano questo processo che rischiava di passare del tutto inosservato.

Mesi fa una lettera – garbata ma ferma – mi giungeva da uno dei Pellini. Lettera alla quale risposi con la medesima fermezza e garbatezza: se i giudici avessero ritenuto che fosse “giusto” restituire i beni, nessun problema. Se però fosse accaduto per scadenza dei termini, no, non avremmo mai e poi mai abbassato la testa. Quel denaro non è mio, non finirebbe nelle mie tasche, tanto meno nelle tasche dei volontari.

Quel denaro appartiene alla collettività. È di tutti. È intriso di sangue e di lacrime. Il discorso è semplice: se i Pellini sono stati condannati per disastro ambientale, è del tutto logico che i beni confiscati provengano da affari illeciti, quindi non appartiene a loro. Passa il tempo.

Gli avvocati dei Pellini vanno alla ricerca dei cavilli giuridici per riprendersi il malloppo. Fiato sospeso. Per legge, la stessa legge che dovrebbe tutelare i giusti e punire i colpevoli, per legge, dicevo, i beni “maledetti” potrebbero fare marcia indietro. La domanda dei semplici: perché? chi ha sbagliato?

Di chi la colpa? Chi è stato tanto pigro da non accorgersi del tempo che passava? Non era mica un fascicolo qualsiasi che sarebbe potuto passare inosservato, quello dei Pellini, si trattava di un reato enorme e di 220 milioni d euro. Chi sbaglia, paga. Giusto. Questa minaccia vale per tutti o solo per qualcuno?

I fratelli Pellini potrebbero rimettere le mani sul tesoretto infame. Per legge. Una legge cinica, blasfema, senza anima e senza volto. Il tesoretto farebbe ritorno a casa non perché la corte ha ritenuto che fosse giusto ma solo perché i termini sono scaduti. Sento scorrere sulla mia pelle le risate e le battute dei cinici e le lacrime dei delusi. Sono un prete non un giudice. Se c’è ancora qualcosa da fare, facciamolo.

Chiamiamo ancora una volta a raccolta i buoni, magistrati, avvocati, politici, cittadini. E, perché no, gli stessi fratelli Pellini, che meglio di chiunque sanno come stanno le cose.

Se siamo ancora in tempo per risparmiare questa ingiusta umiliazione allo Stato e agli italiani onesti, corriamo ai ripari. Se insieme riusciamo a non permettere che si spenga la fiammella della speranza in chi, ostinato, vuole continuare a credere e fidarsi della Legge, della Giustizia, avremo fatto un grande dono a questa nostra bella ma strana, stranissima Italia.

***foto di copertina da Avvenire

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