Caivano – Salvatore, l’ultima vittima della droga

Caivano – Salvatore, l’ultima vittima della droga

Di Padre Maurizio Patriciello

Vittorio si avvicina all’Altare. La Messa dell’Assunta sta per terminare: « Un altro, padre. Al solito posto. I carabinieri sono già arrivati…». Depongo in fretta i paramenti sacri e corro. In campagna, a pochi passi dalla parrocchia, riverso nella polvere, tra l’erba alta, mucchi d’immondizie e migliaia di siringhe infette, il corpo di un giovane, giace senza vita. Un gruppo di persone, sotto il sole cocente di mezzogiorno, dialoga con i carabinieri. Sono i genitori, il fratello, qualche parente.

Mi fermo, mi presento, chiedo. « È uscito di casa, venerdì alle quattro del pomeriggio, alle cinque già non rispondeva più al telefono» mi dicono. E, preoccupati, iniziano a cercarlo. Un amico li condurrà nel luogo dove di solito si recava a comprare e iniettarsi la droga. Hanno cercato tra gli alberi, hanno rovistato, hanno chiamato. Poi la terribile scoperta.

Si chiamava Salvatore. Aveva 36 anni e un bambino che lo adorava. Il volto di sua mamma sembra scolpito nel marmo nero del dolore. Ha pianto tanto questa donna in croce. A Pasqua, le era morto un altro figlio, poco più che ventenne. La guardo e mi sembra di contemplare Maria assunta in cielo con gli abiti del lutto. Capisco che croce resurrezione stanno o cadono insieme, fino alla fine del mondo.

Dopo la “stesa” dell’otto luglio, il “Parco Verde” in Caivano, è blindato. Decine di carabinieri e poliziotti controllano il territorio. Eppure, nonostante tutto, il commercio delle droghe continua a prosperare. I giorni di festa per coloro che vivono in solitudine, per gli ammalati, per gli schiavi di queste sostanze maledette, pesano in modo particolare. Il pensiero che tutti si stiano divertendo tranne loro, gioca brutti scherzi.

Salvatore stava uscendo dalla dipendenza. Da quando era morto suo fratello, a tutti i costi, voleva mettere fine a tanta sofferenza. Poi, l’illusione del ferragosto. L’ultima volta, dice a se stesso. l’ha promesso a suo figlio, a sua mamma, al suo papà. L’ultima volta. Ed è stata davvero l’ultima.

La gioia della Messa celebrata lascia il posto a una amarezza senza fine. Mi porto a casa i volti distrutti di quei genitori che non hanno più lacrime da piangere. Erano partiti dal loro paese con tanta paura ma anche con la speranza di ritrovarlo in vita. Sono bastate poche ore e su di loro è calata la cappa della più buia delle notti.

Quando finirà questa schiavitù? Quando la smetteremo di dire che “Parco Verde è una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa” perché è stata smantellata? Certo, il problema è spostato, non risolto. È vero. Ma è già un successo. Quanta forza d’animo deve avere un adolescente che si avvia alla giovinezza, per resistere alla tentazione di provare, se per andare a scuola in chiesa, o al centro del paese, deve superare una, due, tre postazione a cominciare da chi gli blocca il passo sotto la sua stessa casa? L’occasione fa l’uomo ladro.

La droga assassina acciuffa le sue vittime prima che queste abbiano la capacità di ragionare e scappare via. Bugiarda, le inganna, in tenera età, promettendo il paradiso e facendosi poi beffe di loro quando, ormai adulti, le hanno sacrificato tutto, affetti, ideali, salute e la stessa vita. Quanti sono gli schiavi delle droghe in Italia? Quanto male fanno a se stessi e agli altri? Quanto costano alla società? Quanti omicidi stradali sono procurati da chi guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti? Quanti bambini, come il piccolo figlio di Salvatore, saranno costretti ad affronatare la vita senza il sostegno del papà o della mamma?

Domande che per troppo tempo abbiamo evitato di affrontare, e che necessitano di risposte adeguate. Occorre andare incontro ai giovani più fragili, prima che finiscono nell’asfissiante tunnel della morte nera che arriva camuffata di veli bianchi. Occorre liberare i prigionieri del “ Parco verde” e di tanti altri luoghi che in Italia soffrono le medesime problematiche.

Addio, Salvatore. Chissà quante volte ti avrò incontrato. Chissà che anche tu quanche volta mi avrai sentito urlare come un pazzo: « Uagliù, jatevenne. Fujt. A vit è bell. Fuitevenne a ccà…». Ragazzi, andate via. Scappate. La vita è bella. Scappate via di qua. Tanti di voi, avete abbassato lo sguardo, altri mi hanno risposto malamente. Qualcuno invece, al calar della sera, è venuto a cercarmi in chiesa e mi ha aperto il cuore. Mi piace pensare che tra coloro che hanno varcato la soglia benedetta di quel luogo benedetto c’eri anche tu, Salvatore.

***Abbiamo un accordo con l’autore per la diffusione dei suoi articoli su questa testata giornalistica. L’articolo è pubblicato su Avvenire.

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