Di Michele Miccoli – Avvocato penalista e docente universitario
La vicenda di Garlasco rappresenta uno dei capitoli più controversi e dolorosi della cronaca giudiziaria italiana, un caso che ha sollevato interrogativi non solo sulla giustizia, ma anche sull’etica della comunicazione e sul rispetto per le vite che ne sono state coinvolte. Non si tratta semplicemente di un processo o di una serie di processi; è, piuttosto, un palcoscenico dove il dramma di una vita spezzata si mescola con le dinamiche di un circo mediatico incessante e spesso disumano.
In questo contesto, la figura di Chiara Poggi, la giovane vittima, è stata ridotta a un simbolo, una pedina in un gioco che ha visto coinvolti non solo i protagonisti della vicenda, ma anche una vasta audience che, ogni sera, si sintonizza per assistere a quello che sembra più uno spettacolo teatrale che una ricerca della verità. La vita di Chiara, stroncata in modo tragico, è stata strumentalizzata, e il suo ricordo è stato schiacciato sotto il peso di un’analisi superficiale e di un giustizialismo dilagante che ha caratterizzato molte delle trasmissioni dedicate al suo caso.
L’attenzione mediatica ha inevitabilmente distorto il concetto stesso di giustizia, trasformando il tribunale in un’arena pubblica dove il verdetto del pubblico spesso sovrasta quello dei giudici. Le due assoluzioni pronunciate nei confronti dell’imputato non sembrano aver avuto il peso che meritano, schiacciate dall’urgenza di una narrazione che cerca colpe e colpevoli a tutti i costi. Questo non è solo un fallimento dell’amministrazione della giustizia, ma una vera e propria violazione del diritto alla dignità di ogni individuo coinvolto.
È essenziale ricordare che i processi dovrebbero svolgersi nel rispetto delle procedure e dell’integrità del sistema giudiziario, piuttosto che nel caos di un dibattito pubblico che ignora le complessità legali e morali. Il diritto di una persona a essere giudicata secondo giustizia non può essere subordinato al gusto del pubblico o alle necessità di ascolti televisivi. La vita delle persone non è un intrattenimento, e non può essere oggetto di spettacolo.
In questo panorama, merita un riconoscimento speciale la dottoressa Matone, magistrato di grande serietà e professionalità, che ha sempre mantenuto una condotta impeccabile nel suo servizio allo Stato. La sua coerenza e il suo impegno per la giustizia rappresentano una luce di speranza in un sistema che, a volte, sembra vacillare sotto il peso delle pressioni esterne. La dottoressa Matone rappresenta una voce di integrità in un contesto in cui molte altre si sono lasciate trascinare dalle sirene del sensazionalismo.
La vicenda di Garlasco ci invita a riflettere non solo sulla giustizia, ma anche sul nostro ruolo di cittadini e spettatori. È fondamentale difendere il diritto alla dignità di ogni persona, a prescindere dalle circostanze, e ricordare che la verità non può essere sacrificata sull’altare dell’intrattenimento. La giustizia deve essere celebrata nei tribunali, lontano dai riflettori, per garantire che non si ripetano mai più tragedie simili, né per le vittime né per gli innocenti.

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