Memoria: perchè non ricordiamo i primi anni della nostra vita?

Memoria: perchè non ricordiamo i primi anni della nostra vita?

Rubrica a cura del dottor Claudio Rao

«Capacità di un organismo vivente di conservare tracce della propria esperienza passata e di servirsene per relazionarsi al mondo e agli eventi futuri »¹ o «Processo che permette di conservare le esperienze, di localizzarle nel passato, di riconoscerle e di evocarle volontariamente»², la memoria è una funzione fondamentale per la nostra identità, il nostro equilibrio emotivo e per assicurarci una coerenza tra passato, presente e futuro.   

«La funzione con cui si esprime la memoria è il ricordo, la cui diminuzione o scomparsa determina l’oblio […] L’oblio va tenuto distinto dall’amnesia che è un fenomeno patologico che porta a  disturbi del comportamento»¹.

Fatte queste premesse, potremmo chiederci perché – in uno stato di normalità psichica – non  abbiamo praticamente ricordi dei nostri primi tre anni di vita.

Secondo alcune teorie, prima di questa età il cervello è in fase di formazione: i ricordi non durano a lungo e abbiamo bisogno di usare il linguaggio per consolidarli.

La neurologa francese Bérengère Guillery ci spiega che i nostri primi ricordi infantili sono frammentari. Ciò significa che un bambino piccolo ricorderà solo alcuni dettagli di un evento e non l’insieme. Ciò sarebbe dovuto al fatto che il bambino non è immediatamente in grado di associare elementi visivi e sonori per memorizzare la complessità del proprio vissuto. Questo fenomeno, noto come “amnesia infantile” indicherebbe che la memoria si sviluppa gradualmente e dipende dalla maturazione del cervello. Considerando che la maturazione delle regioni frontali, che consentono di strutturare e recuperare i ricordi, avviene fino alla fine dell’adolescenza. In effetti, la formazione di un ricordo è un processo piuttosto complesso che richiede una serie di abilità e il linguaggio in particolare. Inoltre, sappiamo che la consapevolezza di sé avviene progressivamente. Innanzitutto, il neonato deve rendersi conto di essere diverso dall’ambiente ed imparare a riconoscersi come persona con caratteristiche proprie. Una capacità che si sviluppa tardivamente, probabilmente intorno ai diciotto mesi.

Finché la maturazione non è completa dunque, i ricordi creati non potrebbero essere conservati in modo permanente. Un po’ come se cercassimo di salvare un file su un disco duro ancora in fase d’installazione.

L’amnesia infantile incuriosisce genitori e ricercatori. Nonostante questa comune “perdita di ricordi”, tuttavia, alcune persone riportano diversi frammenti di memoria della loro prima infanzia. Quando si confrontano queste testimonianze, sembra esserci un filo conduttore: eventi significativi o particolarmente significativi che hanno lasciato un’impressione duratura.

Premesso che « Rifiutando l’interpretazione basata sull’immaturità funzionale, Freud scorge nell’amnesia infantile una rimozione riguardante la sessualità che si estende alla quasi totalità degli eventi dell’infanzia e che si risolve con il declino del complesso edipico e con l’inizio dell’età della latenza »¹ e che l’ipnosi aiuta a recuperare le memorie nell’ambito di un percorso psicoterapeutico, l’amnesia infantile solleva una questione importante: se non abbiamo memoria dei nostri primi anni di vita, come può influire sul modo in cui costruiamo la nostra identità? Certo è che tutti noi, col tempo, sviluppiamo storie di vita basate sui racconti di famiglia e sulle nostre esperienze successive. Questo influenzerà la nostra identità narrativa. Comunque sia, anche se non ricordiamo lucidamente e consapevolmente la nostra prima infanzia, quegli anni lasceranno un’impronta emotiva e comportamentale su ciascuno di noi.

Due nuove ipotesi

Dalle ricerche che ho potuto fare curiosando su questo interrogativo, nuovi indizi sembrano chiarire meglio le ragioni a causa delle quali non riusciamo a ricordare i nostri primissimi anni di vita.

Vi sarebbero due nuove vie di ricerca. Mi riferisco ad uno studio dell’Università americana di Yale coordinato da Nick Turk-Browne  pubblicato sulla rivista Science³.

Gli esseri umani, come pure altre specie, possono formare ricordi durante l’infanzia, ma non riescono a ricordarli in seguito. Ebbene, scansionando il cervello di neonati attraverso la risonanza magnetica funzionale, i ricercatori avrebbero scoperto che i bambini sono sì in grado di codificare i ricordi fin dall’infanzia, ma che i  responsabili dell’amnesia infantile sarebbero dei deficit nei meccanismi di recupero successivi alla codifica.

In altre parole, da neonati siamo in grado di memorizzare nuove immagini, ma probabilmente le memorie create in quella fase non vengono immagazzinate in un archivio a lungo termine e quindi non durano nel tempo, oppure i ricordi sono ancora presenti nel nostro cervello in età adulta, ma non possiamo accedervi.

Altre ricerche ancora in corso indicherebbero che queste memorie possono persistere fino all’età prescolare. « Stiamo iniziando a considerare la possibilità quasi fantascientifica che i ricordi possano durare in qualche forma fino all’età adulta, nonostante restino inaccessibili »³.

¹ U. Galimberti, Nuovo Dizionario di Psicologia Psichiatria Psicoanalisi Neuroscienze, Feltrinelli, 2021, voce “Memoria”.

² Guido Pesci, Marta Mani, Dizionario di Pedagogia Clinica, Armando Editore, Roma, 2022, voce   «Memoria».

³ https://www.science.org/doi/10.1126/science.adt7570

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